— 202 — allora impedito che la Sublime Porta attendesse di proposito alle cose dell’Albania, e tutte codeste circostanze avevano anche favorite indubbiamente le ambiziose mire di Ali di Tepelen, come di altri riottosi vassalli della Turchia in Asia ed in Europa. Mahmud II, il sultano riformatore, meditava di applicare al suo Impero la politica dell’accentramento e di ridurre tutti i ribelli indistintamente a piegare il collo sotto il giogo ottomano. Domati l’uno dopo l’altro i grandi vassalli più o meno indipendenti dell’Asia, intimoriti con procedimenti esemplari e spietati i bey serbi, capi della turbolenta aristocrazia bosniaca, indotto a mostrarsi devoto agl’interessi della Turchia anche il pascià di Scutari, Mustafà Busciatli, il Sultano si propose di far tornare al dovere i due soli principi che non parevano disposti a obbedirlo e che erano proprio due albanesi, Mehemet Ali in Egitto e Ali di Tepelen in Albania. Anima e mente della congiura contro la potenza di Alì era a Costantinopoli Ismaele-Pacho bey, che il Pascià di Janina aveva esiliato. Ali, informato di tutto, cercò di farlo assassinare, e prezzolati sicari lo colpirono, ma non a morte, mentre recavasi alla moschea di S. Sofia. L’audace attentato fu ragione più che sufficiente per dichiarare ribelle il signore di Janina e cancellarlo dall’elenco dei vizir dell’impero, mentre il Mufti Hadgi Kalil Effendi lanciava contro di lui l’anatema e lo proclamava scomunicato (fermatili). Era l’anno 1820. Tutti i governatori musulmani della Tracia e della Rumelia furono chiamati alle armi per opprimerlo, non escluso il pascià di Scutari, e il comando supremo della spedizione venne affidato a