— 205 — e che la sua prediletta donna, Vasiliki, lo chiamava novello Scanderbeg. Purtroppo però il nuovo Scanderbeg, a differenza dell’antico, non aveva intorno a sé che amici diffidenti e inquieti, di guisa che al momento supremo, più che le armi del nemico, furono le diserzioni, i tradimenti, i dissensi de’ suoi, che troppo lungo sarebbe enumerare e descrivere minutamente, che lo ridussero agli estremi, non ostante le rivalità e le defezioni che travagliavano pure il campo avversario, non ostante che in tutta la Grecia serpeggiasse e si andasse diffondendo la insurrezione, non ostante il valido appoggio dei valorosi sulioti, tornati ai loro monti e condotti alla difesa di Ali da Nothi, Cristo e il figlio di Cristo Marco Botzari, da Nicola Zavella, da Lambro Veico. Fine di Alì. — Dopo circa due anni di guerra, nella quale le milizie di Ali, e più specialmente i Sulioti, riportarono frequenti ma infruttuose vittorie sopra Kurscid pascià della Morea, che aveva surrogato nel comando supremo dell’esercito turco Ismael Pacho bey, essendo caduto nell’ottobre del 1822 in potere di Kurscid, per tradimento o viltà del presidio, il castello di Litharitza sul lago di Janina, che i turchi assediavano da diciotto mesi, Ali si trovò rinchiuso in un fortino del castello con 35 uomini e con la prediletta sposa Vasiliki. Quivi egli teneva a dovere e in inquietudine il vincitore colla minaccia di dar fuoco alle polveri, che si trovavano accumulate in 200 barili sotto il fortino, e di mandare così tutto in aria, comprese le sue ricchezze ch’erano avidamente desiderate dai turchi. Kurscid finse allora di volere intavolare con esso delle trattative di pace e