IL PORTO DELLA ZERNAGORA in quella di rifornirsi e quasi in quella di vivere, partirono a sera col piroscafo della “ Puglia ”, l’ultimo - si credeva - che venisse a toccare la rada devastata. Restarono però al Consolato la bandiera italiana, e il nostro Console, e, dopo pochi giorni anche tutti gl’impiegati della Compagnia vi rientrarono mettendosi con ogni energia a riparare i danni del cannone austriaco, che come ognun sa, è tornato da allora a visitare Antivari altre due volte. Una città soffocata dall’edera. È un po’ destino dell’attività e del lavoro italiano di creare su quella spiaggia opere di civiltà e di bellezza per vedersele poi abbattere in pochi minuti dalla violenza della guerra. Sorte eguale, e peggiore, di quella toccata alla nuova Antivari, l’ebbe già a due riprese l’antica Antivari veneziana, nel 1751, quando se ne impadronirono i turchi e nel 1877 quando ai turchi la tolsero i montenegrini. Il fuoco dell'una e dell’altra distruzione l’hanno ridotta un cumulo di rovine tra le quali si erra come in uno stupore di sogno. Vi si giunge dopo circa un'ora di cavallo da Pristan, per una via serpeggiante tra declivi ombreggiati da secolari ulivi, odorosi di rosmarini e di ginestre. Compare d’ un tratto, tra lo svariar degli ulivi, chiusa entro la stretta delle sue muraglie pietrigne, erta in cima ad un picco da tre lati inaccessibile, e profila i suoi scheletri di case marmoree contro le calde tinte violacee del monte Rumja (monte Rosa) la cui parete scoscesa le è sfondo, e la sagoma, dentellata sul cielo cornice. T raversato il villaggio dell’Antivari turca, dove musulmani e montenegrini consumano insieme le ore del giorno accovacciati sulle soglie delle botteguccie fumando la sigaretta e prendendo il caffè, per una scalinata ampia che, sebbene quasi del tutto rovinata è ancor comoda — 47 —