IL PORTO DELLA ZERNAQORA distintamente gli uomini ai pezzi. 11 Szigelvar appoggia un po’ verso l’insenatura di Spitza, che abbandonata dagli austriaci si dice sia stata nella notte occupata dai montenegrini, e crediamo che voglia dirigere il tiro sul villaggio. Ma no. Si ferma. Si ferma proprio nello specchio d’acqua tra la costa che fu austriaca e la punta del molo: fa macchina indietro. Si riavvicina al molo: pare voglia entrare in porto. L'Auro lo segue: le torpediniere li attorniano. Avremo lo sbarco? No: abbiamo altre cannonate. Altre granate che rigano rabbiosamente il cielo sul nostro capo rimbombando cupamente, facendo tremare l’aria, l'acqua, la terra. Sono dieci minuti di fuoco ininterrotto, infernale. Ogni granata va a finire entro la zona franca della Compagnia, ogni granata, solleva, squarcia, sprofonda mura recenti di officine, tetti di uffici, lamiere di zinco, abbatte pali telegrafici, spezza e contorce fili elettrici che sferzano l’aria e cascano inerti a terra. L’Albergo e il Consolato sono rimasti immuni: si comprende che gli austriaci “per ora” li rispettano. Ma poi? Un altro silenzio. Altre evoluzioni. Che fanno? Partono? È finita? No. La rabbia austriaca non finisce così presto. Ci sono ancora intatti i magazzini e i depositi sulla parte interna della banchina. 11 Szigelvar avanza di nuovo. Entra in porto addirittura, questa volta e, postosi a trecento metri, apre il fuoco contro la banchina che prende d’infilata. Un altro tuonar di tutta la fiancata, e uno scroscio di mura, di zinghi, di vetri. 1 magazzini e la stazione a mare sono sforacchiati, lacerati, frantumati. Fumano. La bella opera della decenne attività italiana sul golfo di Antivari non esiste più. La “ radio ”, è caduta, la Centrale elettrica è ferita a morte, le officine sono un mucchio di rottami. E rotti, spezzati di dolore e di rabbia impotente rimasero i cuori degli italiani, che, privati di ogni comunicazione telegrafica e telefonica, e della stessa lor ferrovia - con l’ultima locomotiva della quale i due o tre montenegrini rimasti ancora a Pristan avevano preso la via del Soutor-man e di Cettigne - messi nella impossibilità di continuar l’opera loro, - 46 —