70 l’albania due sovarì, il cavàs, qualche amico di Jànina ed io — s’ è fermata in cima a un colle coperto d’un mare di felci, presso i ruderi della chiesetta bizantina di San Nicola, all’ombra d’una quercia. Un livornese che è con noi, con poco rispetto per la santità dell’oracolo cui ci avviciniamo, canta ai gendarmi taciturni prima tutta la Cavalleria rusticana, poi, per non far torto a nessuno, tutta la A/anon, infine sfiatato si mette a declamare la Partita a scacchi. Paggio Ibernando, credo che prima d’oggi non fosse mai giunto in vista di Dodona, sebbene nelle filodrammatiche d’Italia «e colonie» ne abbia viste anche di peggio. Per fortuna la scesa sopra massi sdruccioli come ghiaccio diventa così difficile che si tacciono anche i versi di Giacosa. I cavalli (ed è un complimento) procedono cauti come muli. Finalmente dopo un’altra ora. ci si apre dinanzi una vallata stretta e arida, tutta candida della ghiaia d’un torrente, con qualche ciuffo di platani verdi e di lecci neri su quel bianco abbacinante. Di faccia ripido rupestre, coi picchi sublimi rosei e azzurri, incoronato di nembi che. mentre ci avvici-