• I)A AUGUSTO AD AI.Ì PASCIÀ 37 dalla rupe viva tra il greto rossiccio di ferro vanno a perdersi nel fiume, sono innumerevoli. E quelle polle cristalline d'acqua purissima e il fresco mormorio del fiume, quasi sempre nascosto sotto cupole dense d'olmi, di platani, d’ontani, di salci, di rovi, di vitalbe fiorite a ciuffi bianchi, talvolta aperto in laghetti verdi frementi di libellule, ci consolano nella caldura sempre più grave. E gl’indigeni — come a Cangià — stabiliscono spesso presso quelle polle e quei laghetti una capanna di caffettiere, e due stuoie sotto un albero pel riposo dei viandanti. La bevanda fragrante e nervosa nelle tazzette ornate di un cali intera o ili un cali esperà (buon giorno o buona sera, in greco) venduta lassù in quelle forre selvaggio a quei muscolosi figli della montagna, indica bene il sottil veleno della corruzione turca agitata, impulsiva, dispotica, illogica, che da secoli tenta qui invano di snervare la solida natura pelasgica degli autoctoni dalle spalle quadre, dal cuore regolare, dalla fronte larga, dalle orbite profonde, dal limpido occhio. In alto, quando già la montagna diventa calva, vediamo sul cocuzzolo d'un gibbo più