98 I.’ALBANIA postierc francese, tutti armati come se dovessimo pulire dagli uomini l’intero mondo. — Si parte senza scorta di carabinieri, Stiefèni? — domando al mio cavàs. — È più prudente per vostra signoria — risponde il cavàs, ben dritto sugli arcioni, uno dei membruti discendenti di quello Scan-derbeg che, quando si vide venire incontro il condottiero Jacopo di Niccolò Piccinino, lo prese sotto le ascelle e se lo alzò comodamente al volto per baciarlo con cordialità. E la mia signoria parte pacificamente senza i soliti sovarì. La cavalcata di tredici eterne ore, quasi sempre lungo il fiume, con una capanna ogni tre ore, e un càn ogni cinque, in principio procede fra continue fermate misteriose. Al primo càn, sulla prima tazza di caftè, intorno a un fuoco fumoso acceso contro le zanzare, pretendo una spiegazione. Ed è semplicissima. I mirditi, che per alcuni loro crediti d’uomini e di danari dal Governo turco, hanno chiuso intanto la strada da Scu-tari a Prisrendi, hanno anche qualche notte fa fermata la posta turca, promettendo di tornare a fermarla questa notte. Però essi, che sono una tribù affamata ma prudente, non