443 tanto avventava indarno le palle contro il bastione, una granata di traverso lo percosse alle reni. L’uomo che pareva invulnerabile, allora incurvò la persona, e cadde. Non morì allora; nè il naturale coraggio perdette, nè la parola , nè la voce. Pareva seduto com’uomo che riposi dopo lunga fatica. La ferita non parve mortale. Egli avrebbe voluto rimanervi; ma obbedì alla voce de’ suoi fratelli. Fu trasportato nell’ambulanza, ma le lagrime sgorgavano dagli occhi suoi, e tendeva le braccia alla sua batteria, come garzone innamorato alla donna del suo cuore. I circostanti erano profondamente commossi. 11 cannone taceva. Parve miracolo la sua voce. « Fuori, figliuoli », gridò vivamente. E quando sentì il tuono de’ nostri cannoni, battè palma a palma, e pianse e sorrise a un tempo. Raccomandata la batteria a chi gli subentrava, volse lo sguardo a Venezia. A tarda notte lagrimando, sorridendo, confortando chi piangeva intorno al suo letto, pregando la benedizione di Dio sulla terra d’Italia, sulla diletta Venezia, contento di morire per la libertà, colla tranquillità dell’uomo giusto, chiuse gli occhi alla vita. La morte di Cesare lìossarol fu sventura italiana. L’Italia apprenda quel nome a’ suoi fanciulli, e glielo apprenda con riverenza. I proiettili contro le nostre batterie o dentro la città, senza quasi intervallo avventati o piovuti, sono innumerabili. La notte era uno scambiare di cannonate continuo, monotono le più volte; tal fiata frequente, infernale dall’una e dall’altra parte. Chi vedeva la pri-