158 fuochi del Bengala, e con un pallone volante rivolgere l’attenzione nostra dal lato opposto; eccoti d’improvviso arrampicarsi una mano di Croati per ambedue le «ponde del Ponte, i quali con un coraggio anco in loro mirabile s’avventarono sui nostri cannoni. Quivi erano e artiglieri e operai con pochi fucili, e quelli già scaricarono contro due barche, una con fiaccole,l’altra buia, che alla vòlta nostra parevano venirsene minacciose. Della batteria già s’erano impadroniti. Un ardito dia di piglio alla nostra bandiera, e vi piantò la imperiale. Il capitano che a sì ardua impresa guidavali, fu d’un salto sullo spaldo, e, sguainata la spada, cominciò a minacciare le sentinelle, che, sgomentate, indietreggiarono. Ne’ nostri, che pochi erano, la confusione era entrata; nò avendo più munizione onde far fuoco contro all’audace nemico, e a certa morte trovandosi, cominciavano a cedere. Cosenz, comandante del circondario, cadeva forse, se un milite de’ cacciatori del Sile, di nome Boa, con un legno scagliato sulla testa a uno dei soldati austriaci, non gli scansava il colpo imminente. La voce del nostro allarme erasi già udita dal presidio di San Secondo, il quale cominciò a scaricare tutta l’artiglieria contro il piazzale. I più coraggiosi, sdegnando la ritirata, si ripararono dietro le barricate, e presero fieramente a impedire il passo agli sgomentati, gridando: Vergogna! la morte, ma non la ritirata. Di siffatti gagliardi fu un fierissimo, di nome Prampolini, della legione Bandiera-Moro, e un giovinetto trentino, Filippo Larcheri, aiutante ne’cacciatori dell’Alpi, il quale avea