\u in alto guardare, come gente in lor cammino secura. Più d’un prode svisato o tronco giacque ravvoltolato nella polvere e nel sangue suo proprio. Rovesciati parecchi mentre tiravano il colpo; e fremevano semivivi nelle esauste lor forze ; e colla voce fioca, ma col guardo sanguigno incuoravano i più prossimi a vendicare, non essi, ma la patria oltraggiata. Gl’Imperiali cannoneggiavano da cinque batterie, sostenute da parecchie macchine di razzi. Il foco si estendeva dalla lunetta N.° 42 alla N.° 43 dinanzi al bastione N.° C. Non minori a principio i danni dall’una e dall'altra parte. Le sorti parevano pendere uguali. Quando nel sesto bastione, una bomba nemica precipitò sovresso un cannone, e smontollo con grave paura. Ma nessun ne fu morto, offeso nessuno. Era quivi un artigliere marino, del coraggio più freddo, della destrezza più pronta. In un quarto d’un’ora rimontò il cannone. Quell’opera maravigliosa accrebbe l’animo e il vigore ne’ difensori. Sirtori, Cosenz e Rossarol, forti del loro sovrano coraggio, erano anima e mente di quella salda difesa. Il loro coraggio si trasfuse negli animi maravigliati, com’acqua corrente, che s’insinua tra’ sassi, come luce che rapida dà i colori alle cose. Le nostre artiglierie spesseggiavano i fuochi; quelle dei nemici, al contrario. Si credettero le lor batterie danneggiate. Ma però non cessavano punto. E già il sole piegava in occidente; e i nostri, stanchi, sudati, digiuni, seguitavano nell’aspra difesa. Ecco una turba