123 continuamente sollevata. Teste spezzate, petti infranti, braccia rotte, gambe schiacciate, cervella, sangue c brani (li carne (che schizzavano, spruzzavano, balzavano nelle faccie e ne’petti) mettevano una pietà lacerante, straziante; un dispetto, una rabbia, un furore;, un desiderio di pianto come fanciullo, un desiderio di sangue come leoni. I nostri per morti e feriti ornai scemavano. Degl'illesi, la più parte stanchi, estenuati. Scarso il cibo, scarsa la bevanda, senza regola le mute degli artiglieri però che venivano manco. Ma perciò nessun scoramento. Sempre uguale il coraggio, sempre uguale la costanza-li giorno se n’andava, e il combattimento seguiva con sempre pari valore. Un giovanetto, artigliere, usato allo scrittoio d’un giureconsulto, non abituato alle fatiche, nè alle armi, sedeva stanco, abbattuto a còsta del cannone. Gli fu detto andasse a riposare, ricovrerebbe le forze. Nulla rispondeva. Ne fu pregato reiteratamente. Quel prode, senza far motto, rizzossi in piedi, e come fresco del riposo, montò senz’altro al cannone, e riprese la mira. Un fante friulano andavasene per la fortezza portando le munizioni. Una bomba gli scoppia quasi a’ piedi, e gli spezza un braccio. Dalla sua bocca non mosse grido, non accento di dolore. Il braccio gli era attaccato a sola la pelle, come cosa che penzoli. Guardò la buca che avea cavato la bomba, mirò quel suo braccio penzolone con occhio di pietà cupa; ma vinto da non so qual subito affetto, scosse l’omero, a un tempo agitò il