155 allarga il petto, ognora ombre nuove; men duro il freddo, men noiosa la pioggia; e s’egli nelle fatiche e ne’pericoli è alcun refrigerio, anco nella vicenda di quelli lo trova e lo sente. Ma il soldato che si difende in chiusa fortezza, o, peggio, sovra un palmo di terreno fortificato, giorno e notte custode dell’usato cannone, al sole, alla pioggia, al vento, con una invariabile pianura al guardo, o una vasta laguna d’acque lente e mute, interrotta da triste paludi, sente più duri gli stenti e le penurie, più affannose le fatiche, più pauroso il pericolo della morte. Per lui non canzone di guerra, nè speranza di battaglia, salutata da inni di vittoria. Se canta, è una mesta canzon del popolo, e la voce sua somiglia a quella del prigioniero. Egli attende di piè fermo la morte, ma calcola sul pericolo suo. Vede il lampo del cannone avversario, e la palla, oltrepassando, orribilmente gli fischia agli orecchi; egli sta fermo alla mira. Scoppia la granata seminando la morte; egli non si muove. Coll’occhio segue nel suo curvo viaggio la bomba; forse lo coglierà; precipita, si sprofonda, scoppia, squarcia e solleva la terra; pesta, infrange, ruina, fa strage dovunque colpisca co’suoi frammenti; ma egli non ha schermi, e sta fermo. Quante furono le vittime? quanti i feriti? quanti i troncati delle lor membra? quali i loro nomi? Chi di loro i più prodi? Molte furono le vite spente; molti e molti i feriti e gli scemi. I loro nomi? noi non li sappiamo narrare; erano sangue italiano. I più prodi? furono prodi tutti. — 0 Italia, gran madre, a che edu-