-155 da de’ feriti: chi negli spasimi del taglio narra della battaglia; ehi prega lo taglino basso, che riman lempo a tagliare più su; e spera aoche senza una gamba ritornare al cannone : e con esempi di ciò si consola. Si dolgono per la patria, o del cannone danneggiato, non del proprio dolore. Con la febbre addosso balzavano al combattimento; e uno di quelli a mezza via cascò sfinito sul ponte. Quando seppero del dovere abbandonar la fortezza, non potevano prestar fede : e taluni gridavano contro, e imaginavano strani sospetti, anziché imaginare la necessità, la possibilità dell’andarsene. E baciavano i cannoni e piangevano. Ai cacciatori del Sile fu forza fare inganno dicendoli destinati a difendere il ponte, e che altri verrebbero quivi in lor vece. Il prode Andreasi voleva dar fuoco alla polveriera, e là rimanere sepolto. Due dei Bandiera e Moro, uno de’ quali patrizio, si recarono sulle spalle un compagno amato, al quale nella battaglia di Sorio due ferite all’ima e all’altra spalla avevano data un’insegna d’onore, e ora la bomba spiccava il capo dal busto; e se ne portarono a Venezia il cadavere. Tutti valenti al debito loro, e cosi nella disciplina, come nell’ardimento, militi fatti. Ma se si potesse distinguere, converrebbe in ¡specialità rammentare i Bandiera e Moro, schiera sacra di giovani, che spontanei abbandonarono gli abiti dei viver lieto, e durarono non solo contro i pericoli e i disagi, ma contro gli ostacoli e freddezze e le sconoscenze. Di varie città, di varie province, nobili, studenti, ricchi figli di magistrati, scrittori, uguali tutti e ne’ modi, e nel sentire, e nel salario ai più poveri. Tra loro il servo de’ fratelli Bandiera, che il 22 marzo liberò dalla carcere; e che diceva: io era già morto: tutto quel che io fo, oramai, gli è 1111 di più. Tutti rassegnatamente sereni, ilaremente pensosi della patria, consci della nuova dignità del loro e del comune destino. Di quasi dugento. in tanto infuriar della guerra , sei soli morti, ventiquattro feriti. Il maggiore Sirtori, milanese, che era per tutto, quasi sfidando le bombe, pareva temuto da quelle, e con la sua pace invulnerabile ispirava ammirazione e fidanza. Il colonnello Ulloa, che da Marghera ritornò generale, si guadagnò questo titolo. Il nemico ebbe una fortezza di terzo ordine, perchè l’assallò con forze esorbitanti, diffidando vergognosamente del proprio valore: ebbe la fortezza, non vinse.