78 II - Nell’Albania Centrale l’arco costantemente investito dalle alte maree fra lo scalo e lo sprone sassoso di Crionerò. Fra gli ultimi Vitex notai la Scutellaria Sibthorpii o S. Linnaeana. Crionerò (Ujftoft, in albanese), che prende il suo nome greco dalle due sorgenti principali di quell’acqua fredda tanto rinomata a Vallona (l’una scaturisce a sinistra della via protetta da un annoso e imponente platano d’Oriente, l’altra sulla spiaggia sassosa ai piedi della rupe), è un insieme di piccole e basse case sparse, circondate da giardini, vigneti e frutteti, abitate nell’estate dai notabili di Vallona che vengono qui a fuggire i calori intensi e pesanti della città. E’ un punto pittoresco dinanzi all’ampia rada in quiete sovrana: la scelta per la villeggiatura non poteva essere migliore. Una fortezza veneta, ora in rovina, che diede nome alla Punta Batteria, difendeva Crionerò dominando la rada intera. Le fortezze venete sparse sull’intero sviluppo delle coste di Vallona dimostrano nuovamente con quanta cura la regina deU’Adriaticp pensasse a questi possedimenti albanesi che altrimenti potevano venire attaccati per la loro importanza strategica. I calcari giurassici di Crionerò hanno, sul mare, il Crithmum maritimum, la Statice virgata e YEphedra campylopoda. Nei calcari più interni notai il Phagnalon Tenorii. Nei prati la Centaurea salonitana abbondante colla Salvia Horminum e YElaeoselinum Asclepium. Dalla Punta Batteria in avanti il sentiero guadagna le prime chine passando sul dogger e poscia sul lias, affondandosi talvolta più di due metri nel terreno ove si alternano alti dumeti a quercia coccifera e macchie interessanti e fittissime di Cistus e Anthyllis Hermanniae, fra le quali qualche scapo fiorito di Iris Sintenisii spicca soavemente. Il sentiero segue oltre, tenendosi sul margine di un precipizio sottostante, indi per punti difficili e pericolosi ai cavalli e a noi stessi si addentra in boschi mediterranei splendidi che dicono la opulenza di questa vegetazione formata di lauro, Phyllirea latijolia, olivo selvatico e mirto: quest’ultimo ha tronchi di cinque centimetri di diametro. Mai avevo veduto il mirto in tali proporzioni. Nelle rupi Phagnalon graecum e Athamantha macedonica densamente bianche per il loro tomento e peluria. Presso un fico selvatico a chioma larghissima la Salvia peloponnesiaca. Il caldo va guadagnando d’intensità appena ritroviamo le arene marittime poco oltre l’asciutto e profondo rio che scende dal villaggio di Radima (231 m.), perduto in alto a un’ora da noi sotto i contrafforti del monte Hon. La stazione arenosa marittima, molto diffusa dalla foce della Vojussa al capo Linguetta lungo le coste che circoscrivono il golfo di Vallona, riappare sotto Radima o meglio, fra questo villaggio e la chiesetta di S. Nicolò (Sencol), seguendo ininterrotta fino alla chiesetta di S. Giorgio (Haghios Jorjos) nei pressi di Pascialiman, accanto alle rovine di Orico. Io vi notai e raccolsi, ma senza interesse speciale: Fumana procumbens, una Sinapis e un Erodium, Ononis variegata, Medicago marina, Eryngium maritimum, Echinophora spinosa, Crepis rhoeaditolia, Convolvulus Soldanella, Euphorbia Peplis, Cyperus schoenoides. Dove terminava l’arena, barriere impenetrabili di quercia coccifera legate da mille spire di Smilax raggiungevano l’altezza di parecchi metri, nè mostra-