II - Nell’Albania Centrale 55 dei Caraburun, dello scoglio di Saseno, delle peschiere di Portonovo o delle foci della Vojussa, troverà nei barcaiuoli greci o albanesi di Vallona il mezzo non solo indispensabile, ma anche il più adatto e il più economico allo scopo. Si contratta il nolo di una barca a due rematori con un megidié o un megidié e mezzo (franchi 4,50 a 6,75) ogni ventiquattro ore: a questo prezzo molto modesto si può aggiungere il vitto giornaliero con lievissima spesa. Non è difficile contrattare, inquantochè i barcaiuoli di Vallona non hanno affari che nei giorni di vapore, ossia circa tre giorni la settimana. Naturalmente, ogni disegno di escursione in questo senso è sempre, più che mai, nelle mani di Dio; occorre talvolta aspettare il vento favorevole per giorni interi. Il maestrale è qui senza dubbio il vento più frequente dall’equinozio di primavera a quello d’autunno; spira spesso a periodi ininterrotti nelle ore pomeridiane per settimane intere, talvolta con violenza burrascosa, tal’al-tra allo stato di leggera brezza. Il vento di levante è più raro nella stagione calda; spira regolarmente nelle prime ore antimeridiane con forza spesso poco impetuosa. Il ponente annunzia sovente la tempesta all’imboccatura della rada di Vallona fra Saseno e il capo Linguetta; è pericolo;-o specialmente per i bastimenti che vengono dal mezzogiorno e spira nelle ore pomeridiane vincendo con tutta facilità il maestrale. Nei periodi in cui la navigazione è resa difficile dai tempi burrascosi, i vapori non hanno alcun approdo sicuro nel miserabile porto di Vallona e quando non sono costretti a seguitare la rotta senza ancorare, appoggiano, già lo dicemmo, nelle acque di Crionerò o in quelle di Pascialiman. Ciò accade con relativa frequenza d’inverno, assai meno nell’estate. Beninteso che, in simili condizioni, lontani dallo scalo, i piroscafi non possono scaricare che gli effetti postali piii leggeri: le merci verranno lasciate, tempo permettendolo, nei successivi viaggi, con molto danno del commercio locale. I monti Caraburun (conosciuti anche col nome di Memuc’ nella sezione peninsulare e Rethe Canalit o Keraunia nella sezione meridionale), ai piedi dei quali sbarcammo nel pomeriggio del 20 giugno, hanno la loro origine al passo di Lo-garà, dove s’innucleano con i monti di Chimara, che formano la più alta e compatta catena di tutta l’Acroceraunia. A volo d’uccello, presentano il loro crinale come una S, le cui curve sono appena segnate ad oriente ed a ponente. La loro massima altezza è a 1497 m. al monte Elias (San Ilia) che domina il passo di Logarà. Questi monti vanno uniformemente abbassandosi verso N.O. a 1343 e 1235 metri colle cime Dreri a 822 m. col massimo vertice del Rethe Canalit, a 363 m. col Ravena, per risalire di nuovo fino a 839 m. col monte Haghios Vasilios (Maja Keres) e a 722 m. col monte Memuc’ nella porzione inferiore della catena che complessivamente raggiunge lo sviluppo di circa 40 chilometri. I Memuc’ terminano al capo Linguetta (in alb. Giuha Ducatit) considerato come punto di spartizione dei due mari Adratico e Jonio, nel quale si trovano i famosi scopula acroceraunia degli antichi, che Orazio eternò in una delle sue più belle odi. Sono monti in massima parte formati di calcari a rudiste e caprini di qua e là