Ili - Nell’Albania Centrale 119 dopo parecchi giorni d’attesa, la coincidenza del piroscafo del «Lloyd austriaco » per l’Albania. Il Japigia, vuoto come si trovava, offriva la miglior condizione per ballare col mare calmissimo. Sui primi albori dell’aurora io ero in vedetta. A poco a poco, in direzione della prora, cominciò a percepirsi la cresta dell’Acroceraunia e lo scoglio di Saseno; più tardi, dopo l’alzata del sole, apparve dai flutti netto ed aguzzo il capo Linguetta, la costa fra il Capo Treporti e le pianure dove si perdono la Vojussa e il Semeni entro le paludi; e quindi più all’interno, i sistemi orografici del Cudesi-Griva, di Maiacastra e del Tomor. Passammo fra il capo Linguetta e Saseno verso le sette ant.; alle otto e mezza il Japigia dava fondo a quasi un chilometro dal famoso ponte di sbarco di Vallona. Salì, il mio fedele compagno, mi attendeva sul ponte: lo abbracciai con intenso affetto d’amico. Il fido giovane mi parlò della sua salute sofferente e del dolore che avrebbe provato di non poter essere mio compagno di viaggio fino a Conitsa, in paese per di più a lui ignoto e non albanese. Ma su una questione per me tanto importante avremmo preso consiglio più tardi. Frattanto il fraterno amico Bosio era lungi da noi, a Prcvesa, chiamato da pio e infausto avvenimento di famiglia, e niuna notizia era ancora giunta da Gianina a mio riguardo. L’attendere era quindi forzato. Le formalità della dogana e del passaporto furono questa volta più pedanti in assenza del Rappresentante italiano; il mio orario ferroviario fu trattenuto colle « Symbolae ad floram graecam » dell’Haussknecht e i volumi di farmacologia del Guibourt, e in cambio le carte geografiche non ebbero neppure l’onore di uno sguardo. L’aneroide diventò un grande orologio, il binoccolo fu provato in ogni senso; ma ciò che attirò la generale attenzione fu un paio di scarpe nuove da campagna colla pelle non ancora tinta, e le cassette contenenti la carta straccia per la disseccazione delle piante. Le altre novità notate, oltre il ponte di sbarco sconquassato e il deserto di sabbia accresciuto, furono, presso la dogana screpolata, un pezzo di terra raschiata sul quale un ordine imperiale stabiliva che si fosse costruita una caserma annunziata da circa due decenni, e la carrozzabile interrotta fra lo scalo e la città per tar passare non so quale Commissione germanica. Vallona aspettava sempre l’epoca di migliorare e frattanto non perdeva tempo a decadere come un grosso villaggio in completo abbandono coi suoi armenti di pecore, di buoi e vacche, i suoi cani erranti e l’immondizia ammassata ai piedi delle case... Dalla gentildonna madre del Bosio mi venne offerta, come già nel 1892, la nota casa ospitale e in essa posi tosto, nuovamente, dirò così, il mio quartiere generale. Nelle abbandonate provincie della Turchia gli amici veri, come il Bosio, sono una fortuna quanto mai rara e preziosa. Invano passavano i giorni. L’ordine di cominciare il viaggio non veniva mai, e pur troppo da Costantinopoli e da Gianina le notizie dei nostri egregi Rappresentanti lasciavano capire che questa volta la Sublime Porta voleva farmi provare le gioie di uno dei suoi famosi ed eterni temporeggiamenti. Già si an-