II - Nell’Albania Centrale 59 il vascolo. Il tentativo andò a meraviglia. Tirammo fuori un’acqua densa, melmosa e, ahimè! molto ricca di organismi animali e vegetali che, posti in spirito assoluto acquistato nelle farmacie di Vallona, si scomposero in pochi giorni completamente. Ripresa con la primiera gaiezza, scendemmo al mare riposandoci all’ombra delle alte rupi, dove divorammo la razione di pane e carne destinata al pranzo, non senza prenderci il lusso di uno spuntino con frutti di mare, in queste località abbondanti. A Col Rufa stringemmo presto amicizia con due o tre famiglie di barcaiuoli di Chimara, circa dodici persone fra uomini e donne, che dopo avermi fatto un minuzioso racconto del loro distretto, mi invitarono a seguirli, credendo di avere scoperto in me un nomade Esculapio, capace di guarire i compaesani che giacevano ammalati e soprattutto i loro aranceti attaccati da un parassita. Erano tanto persuasi, nella candida loro ingenuità che io dovessi essere stato mandato dal favorevole destino, che alle mie gentili ripulse opposero le più replicate insistenze, arrivando al punto di offrirmi anticipatamente una somma non lieve di denaro poco prima riscosso a Vallona e promettendomi ospitalità nelle loro case per tutto il tempo che avessi desiderato. L’occasione era promettente, ma non accettai l’invito e feci male; avrei meglio conosciuto quella regione di Chimara così poco nota in Europa. Il maestrale cominciò a spirare verso le tre pomeridiane. Poco dopo levammo l’àncora e, colla prora verso Vallona, giungemmo bordeggiando allo scalo sul calar del sole. * * * Il tempo per lo studio della flora dei monti avanzava, ma io non volli ancora abbandonare le stazioni inferiori senza prima conoscerle interamente almeno nelle vicinanze di Vallona. Il 24 giugno fu perciò destinato alle località fra lo scalo, il mare e le colline di Pogdagna e di Svernetsi, verso la Punta Treporti, che delimitano l’ultimo tratto più meridionale e più ristretto della pianura del Muzakjà e Vallona, dipendenza del grande piano alluvionale maremmano che prende il nome di Durazzo. In questa breve e facile gita mi fu compagno un giovinetto turco, di origine araba, col quale non potei dire mezza parola per tutta l’escursione. Ma quanta intelligenza, giovane intelligenza orientale, in questo tipo! Venimmo dapprima ad esplorare le sabbie dello scalo dove sorgono gli edifìci crollanti del capitanato di porto, dell’ufììcio di sanità, dell’amministrazione dei fari, della dogana, dei passaporti, del « Lloyd austriaco » e dell’unico cosiddetto caffè, entro il quale giornalmente si confondono, insieme ad una moltitudine di facchini e di barcaiuoli, gl’impiegati dell’amministrazione ottomana, quasi irriconoscibili dagli altri avventori. È sempre un problema difficile; *u;lle provincie della Turchia, stabilire la qualità ed il grado di un impiegato. Quando un disgraziato europeo capita