30 I - L’Albania la metà del prodotto: quando il proprietario fornisce il materiale ed il bestiame, al contadino non resta allora che la terza parte. In genere le condizioni sociali del paese hanno tenuto la popolazione rurale nello stato più miserabile e la mancanza di sicurezza e la barbarie dei Turchi la gettarono nell’inerzia e nell’indifferenza, sicché il contadino coltiva appena quanto gli è strettamente necessario per pagare le decime, dare al proprietario la sua parte e provvedere al proprio sostentamento nella misura più parca. Questa incuria per il lavoro è prodotta anche dalle disastrose condizioni igieniche della campagna e dall’impossibilità di vendere i prodotti per la mancanza di strade che rendono spesso enormi le lontananze dei centri. L’Albanese dorme e mangia poco e male ed è insidiato da malattie d’ogni specie, tra cui la malaria e le afflizioni celtiche, dalla mancanza di ogni nettezza e dalla deficienza dei vestimenti (i). L’aratro è fatto da un ramo biforcuto di olmo: un braccio serve di guida e l’altro di timone e la punta di legno per il solco non è mai protetta. Il taglio del grano si fa con una piccola falce e soltanto il fieno si falcia con uno strumento simile al nostro. Il mais si sgrana a mano. Per la trebbiatura del grano si usa il cavallo. Non esiste alcuna legislazione agraria. Al tempo dei Turchi, il Governo percepiva regolarmente le decime. In cambio aveva fondato alcune banche agricole, ma esse non funzionavano perchè non avevano capitale e gli interessi erano troppo alti, e le formalità insormontabili: la diffidenza, l’intrigo e l’inganno erano normali tra lo Stato e le campagne. L’assicurazione agricola era sconosciuta, e così non si avevano associazioni agrarie, sindacati e cooperative. In Albania non è mai esistita una scuola di agricoltura e quindi non si sono mai avuti laboratori agrari, nè stazioni meteorologiche e simili. Nel 1900 venne istituito soltanto di nome un posto di ispettore agrario a Scutari e a Gianina. Per togliere l’agricoltura albanese dall’abbandono generale in cui si trova bisognerebbe subito impiantare vivai e campi dimostrativi per familiarizzare il paesano con i metodi e gli strumenti del- (1) I dottori Santucci e Rotolo, della prima Missione Sanitaria dell’Albania settentrionale (1914), hanno riscontrato nella popolazione un numero impressionante di malarici, di tubercolotici, di luetici, nonché le forme più varie e più gravi di anemie profonde, di bronchiti cronicissime, di affetti di polireumatismo articolare, di cardiaci, e, infine, una straordinaria quantità di malattie della pelle e del cuoio capelluto. Nell’Albania centrale, i dottori Sanmartino e Schirò, della seconda Missione Sanitaria italiana, fecero constatazioni non dissimili da quanto ha riscontrato la prima Missione, se si eccettua una notevole prevalenza delle forme luetiche. I luoghi visitati sono rattristanti, poiché il quadro di miseria, di abbandono in cui giacciono quegli abitanti, l’assoluta mancanza di comodità e di agi della vita, produce nell’animo dell’osservatore un senso di penoso scoramento, tanto più profondo quando si pensi alla naturale fertilità dei terreni e alla svegliata intelligenza degli Albanesi, che potrebbero, tutti, con un po’ di buona volontà e ispirandosi al concetto della patria, risorgere a nuova vita, dando forma e contenuto civile al nuovo Stato.