Ili - Nell’Albania Centrale 131 mi annunziava che metteva a mia disposizione, come onorevole scorta, un suo intelligente scrivano, sottufficiale di fanteria. La troppo spontanea e notevole offerta voleva dire che io sarei stato guardato a vista per tutta la durata dell’escursione che avevo stabilita sui monti Trebescina, a Tepeleni, Clissura, Pre-meti, sui monti Nimercca, ad Argirocastro e di nuovo a Tepeleni e Vallona, entro un paese percorso da più della metà dalla Vojussa e dal Drinupoli. Poco del resto potevami importare questo speciale servizio di polizia, perchè io andavo soltanto incontro alla difficoltà di poter liberamente adoperare il barometro, il termometro, le carte e riempire il libro di viaggio (ciò che in Turchia può sempre essere causa di grandi sospetti e di inconvenienti senza fine) ; 1’« amico », sebbene ignorante della scienza, non si sarebbe probabilmente lasciato gabbare e i suoi rapporti all’autorità, fondati o no, avrebbero potuto definitivamente troncare ogni mio ulteriore programma. Il solo mezzo di riuscire nell’intento consisteva in ciò che, essendo il sottufficiale privo di cavalcatura e non intendendo l’autorità di provvedergliela, io avrei pensato a stancarlo obbligandolo a venirci dietro a piedi; siccome per i Turchi la fatica influisce in modo straordinario sul dovere, era sperabile che, appena lontano da Vallona, l'aguzzino ci avrebbe abbandonato. Tutto il giorno seguente fu dedicato ai preparativi e alle 5 pom. partimmo. Ai nostri due cavalli, carichi di coperte, di sacche e di bisacce, ne aggiunsi un terzo che portava i pesanti pacchi di carta per la disseccazione delle piante, i vascoli e le provviste da bocca: venivano a piedi il kiragi e la famosa scorta. Col sole al tramonto ripetemmo lo stesso tratto di strada seguito nella prima escursione lungo la valletta della Viaina; dipoi, con una splendida luna piena uscente dalle vette della gran mole del Cudesi cominciammo l’ascesa di Gorishti e quindi la discesa al piano alluvionale del Cudesi, tagliato dalla Vojussa. In mezzo a quella notturna e morta natura albanese l’animo dell’Europeo resta compreso di profonda commozione che non si potrà mai più dimenticare nella vita. Dalle chine di Ornets si delineavano confuse, oltre la cupa valle della Voj ussa, le poco note montagne di Malacastra, dei Toskeri e di Calivets, un tempo temibili assai ed ora discretamente domate. Dalla sella di Gorishti ammirammo il piano di Cudesi illuminato dalle fioche luci degli sparsi casolari. Questa strada tanto in ascesa quanto in discesa bisognò per precauzione farla a piedi. Dal primo han di Duscarat (234 m.) in avanti, i cani a guardia degli armenti latrano senza tregua assalendo i passanti. Attraversammo il cimitero di questo villaggio, che è uno dei più notevoli dei Cudesi, con le sue innumerevoli alte lapidi diritte e appuntite, e alle 10 pom. scendevamo all ’han di Scotsa (64 m.) che segna l’ultima casa della tribù nella sua parte orientale, verso Ilinets. Occorse quasi un’ora prima che Yhangi ci aprisse la porta; dopo una modestissima cena con uova e pane trovammo meritato riposo, io sopra una branda e gli altri sopra il fieno. Itinerario del 18 luglio. Partimmo alle 5 ant. dopo aver provveduto di un cavallo il povero sottufficiale che nella sua silenziosa stanchezza implorava pietà. Ci eravamo ingannati al suo riguardo?