100 II - Nell’Albania Centrale saloni tana, Thymus capitatus, Marrubium peregrinum erano le specie più comuni. L’olivo appariva bellissimo nelle vicinanze dei villaggi, fuori dei quali la scarsa coltura del terreno pareva una barbara sfida d’indifferenza in quelle feraci colline abbandonate a se stesse e bruciate dal sollione. Lasciammo a sinistra l’elegante cupola del monte Visit e discendemmo a Baleri per terreni argillosi, malamente coltivati. Tosto ci trovammo nella valle del torrente Janitsa. La Janitsa, che nasce nei fianchi S.O. del monte Signa, è tosto alimentata da copiose sorgenti nel suo corso superiore fino ad Arositani (Aranitas), dove forma un gomito pronunciatissimo in stretta relazione coll’arco montuoso Malacastra-Signa. Le argille molto comuni raggiungono in questo bacino forti spessori e sono assai simili a quelle di Selenitsa anche per la presenza del petrolio che mi venne assicurato esistere nel territorio del villaggio di Pahtosa (non Paslos, come erroneamente porta la Carta austriaca) a N.O. del monte Visit. La Janitsa dopo Marglic’ a N.O. di Pahtosa, si apre un vasto letto circoscritto sulla sinistra dalle colline di Sekishta e sulla destra dagli estremi sproni che scendono dal monte di Signa: oltre questa valle il torrente concorre su vasta scala a formare le paludi di Portitsa, note per la loro pestilenziale importanza in tutto il Muzakjà, finché sbocca nel fiume Semeni a settentrione di Fieri. Dalla Janitsa, a valle di Marglic’, si stacca un canale d’irrigazione che attraversa una parte del contado di Fieri, raccogliendo molte delle locali acque stagnanti: questo canale lungo pochi chilometri è l’unico meritevole di tal nome che io abbia veduto in tutta l’Albania. Facciamo sosta all 'han di Arositani, dove giungiamo verso le undici antimeridiane. Alcune viti portano molti grappoli di uva nera, già matura. Dopo il riposo di due ore, che io concedo normalmente alla mia piccola carovana in tutte le escursioni di un certo interesse, riprendiamo la mulattiera. La salita della ripida china di Signa è segnata in continuo zig-zag da una scalea in certo modo curata anche nella cattiva stagione per tenere la comunicazione fra Vallona e Berat, non essendo altrimenti possibile durante l’inverno di transitare per il piano di Muzakjà che è allora sempre inondato. Il mio Salì, oriundo di Signa, non cercò gran fatto di fermarsi nel villaggio nativo che mi qualificò come uno dei meno sicuri; e benché mi paresse strano il giudizio del fido compagno, per il quale forse militavano altre ragioni che si sarebbero dovute cercare nella vendetta, io ebbi appena il tempo di dissetarmi alla fresca fontana del villaggio (719 m.) dopo la faticosa salita compiuta. Presto raggiungemmo il crinale della piccola catena che domina colle pareti a perpendicolo la strada di Berat, riammirando di faccia il maestoso Tomor. Berat non è ancora visibile, ma il verde piano del Semeni, inondato dalla viva luce del sole, le montagne di Elbassan, della vicina Macedonia, tutta l’estensione per me nuova, attraentissima di questa Albania così ignota e tanto bella, non mi concedono fissare la mia attenzione sopra un punto solo, sia pure della città di Berat: dagli spalti di Signa, là dove sorgono le tombe di grandi capi albanesi