II - Nell’Albania Centrale 45 tale della rada. Seguendo la discreta via di circa due chilometri che separa la città dal suo porto, si lambiscono i ripidi fianchi del cocuzzolo di Cubi, cimitero musulmano, e si lascia a sinistra la strada di Canina, segnata sul termine degli ultimi strati delle arenarie micacee e di calcari bianchi compatti e della pianura di Arta. Le foreste di ulivi che nascondono la città di Vallona all’occhio del navigante, mostrandogli appena al di sopra di esse i bianchi minareti ed il palazzo dei fratelli Sorià-bey Vljora, occupano da Crio-nerò ad Arta questo anfiteatro, che caratterizza un elegantissimo quadro, le cornici del quale sono date dall’uniforme piano e dalla brulla natura dei monti della Lungara. Gli uliveti di Vallona sono famosi nell’Albania centrale, ma, sia per l’ignoranza generale con la quale se ne fa la coltura, sia per le difficoltà che sorgono ad impiantare buoni mulini da olio per parte dei proprietari, arrivano appena a dare un prodotto derisorio e di mediocre qualità. L’impianto degli ulivi nelle coste albanesi risale, a quanto pare, ai tempi veneti, allorché la Serenissima, che aveva larghe vedute per lo sfruttamento economico dei suoi possedimenti, volle obbligare i suoi sudditi, sotto pene pecuniarie assai rigorose, alla cultura di uno dei più lucrosi vegetali che l’uomo abbia saputo utilizzare nei nostri paesi. Da quei tempi fino a noi rimasero le piantagioni d’ulivo per tutte le contrade a cui Venezia aveva imposto l’editto suo, fecondo di grandi risultati per sé e per i suoi popoli. Ma oggi il Levante ottomano non ha gli obblighi di Venezia e l’ulivo resiste solamente per merito degli avi. Così avviene nell’Albania e nell’Epiro. Nondimeno, esso forma sempre, nelle squallide condizioni agricole attuali, uno dei migliori prodotti vegetali che può competere con qualsiasi specie di cereale. Ha il clima favorevole, e, dalle riviere marittime, resiste nelle vallate più interne fino a 500 e più metri di elevazione. Nel distretto di Vallona l’ulivo è frequentissimo presso la città intorno ad un perimetro di circa 4 chilometri verso oriente e fino agli ultimi lembi settentrionali delle colline della bassa Lungara, con la sua massima altezza presso Canina e Drasciovitsa a SE: non fu mai coltivato nei terreni alluvionali che formano la pianura, ad eccezione dei pochi alberi che si trovano a metà strada fra lo scalo e la città, i quali tuttavia sono in ottime condizioni. La legge veneta non ebbe effetto oltre Crionerò al sud e Arta al nord; al di là di questi confini l’ulivo diviene sempre più scarso e si incontra a macchie isolate presso i villaggi. Il fiume Suscitsa chiude a oriente lo sviluppo principale della pianta nel distretto di Vallona. Gli ulivi vennero assai di rado piantati in filari. Si trovano così avvicinati gli uni agli altri che le loro chiome folte, robuste e non mai potate vengono ad intricarsi insieme, a tutto danno dell’esuberante prodotto che potrebbero dare. Se la potatura dell’albero, che è fattore importantissimo in ogni pianta legnosa, viene negletta dagli Albanesi, non meno dimenticata è la zappatura e la concimazione. Riparando a tanti gravi inconvenienti, il territorio e la città di Vallona potrebbero ottenere pieno successo dalla cultura perfezionata dell’ulivo e il commercio del-