io8 II - Nell’Albania Centrale tense, freschissima; il ristretto, elegante e pittoresco quadro nel quale entrai quasi senza accorgermi, la brezzolina alpina che l’ombra e la vicinanza dei massi giganteschi fendeva più acuta, la presenza di numerose specie in fiore e non ancora mie che tappezzavano pareti e prati mi infusero speranza e coraggio, e tale e tanta fu la contentezza provata nel raccogliere il primo manipolo di piante che la febbre passò per incanto. Le seguenti furono le specie che ebbero virtù di febbrifughe: Drypis spinosa, Arenaria gracilis, Alsine grammi-nijolia var. semiglabra e glaberrima, Sorbus graeca, Saxijraga coriophylla (con esemplari di passaggio alla S. Sprunerii), Gnaphalium Hoppeanum var. Raeserii, Senecio thapsoid.es, Amphoricarpus Neumayerii (forma identica alla velezensis di Murbeck dell’Erzegovina), Crepis Baldaccii, Hieracium Friwaldii, Edrajan-thus Kitaibelii, Avena Neumayerii. Un vero bottino entro venti metri di superficie, ed un materiale geografico interessantissimo che mostrava con tutta chiarezza, in questa località a N.NO., la preponderanza della flora dalmatico-montenegrina. Più innanzi, nei prati sassosi, era comunissima la Pedicularis graeca e la candida Potentilla appennina; le macchie circostanti di neve mostravano le orme dell’orso. A circa 2000 metri infilammo una lunga e profonda conca che ci portò ai piedi della mole Maja, veramente imponente, per quanto invisibile in parte. Nei sassi mobili: Ranunculus lapponicus, Drypis spinosa, Valeriana montana, Achillea abrotanoides, Lamium striatum var.: comunissima, sulle rupi, la Potentilla appennina. A 2000 metri, nelle ripide chine rupestri, vivevano quasi in società: Saxifraga Aizoon var. orientalis, S. glabella, S. porophylla — colla forma montenegrina del m. Zijovo — S. rotundijolia var. taygetea. Notai il Ranunculus brevijolius, sulla cresta di un vicino colle, da cui si dominava una parte del Tomor settentrionale. Da questo punto cominciò per un quarto d’ora un tratto di cammino alquanto difficile a cagione, prima, dei sassi mobili in declivio ripidissimo, e, poscia, delle rupi che si frantumano al più leggiero contatto. Superato il momento ci trovammo tosto nell’alto cono coperto di nubi, battuto dal vento. Raccolsi nei detriti della roccia la bellissima Viola Grise-bachiana e la Campanula Hawkinsiana. Erano circa le due dopo mezzogiorno quando raggiungemmo coi due grandi vascoli pieni di materiale la solitaria vetta a 2413 metri (2418 m. delle Carte posteriori) e ci credemmo meritevoli di fare un modesto desinare con carne, formaggio, latte, pane e acqua di neve. Avevamo appena cominciato a godere dei nostri diritti, allorché vedemmo nei sottostanti precipizi armenti interi di capre selvatiche non molestate che dal fragore di qualche masso lanciato nell’abisso. Afferrammo le nostre armi e cominciammo vivissimo fuoco di fucileria contro le povere bestie che si diedero a corsa sfrenata, impossibile a concepirsi, lungo quelle barriere verticali dove non poche lasciarono la vita. Intanto l’eco dei nostri colpi si portava da distanza a distanza, facendo credere ai pastori sparsi per la montagna si trattasse d’un combattimento contro i briganti; da ogni parte, al nostro fuoco, rispondevano altri fucili con colpi