II - Nell’Albania Centrale 47 Era gente fiera, musulmana: alti e bruni gli uomini, con cipiglio feroce nel viso e sguardo truce, benché sicuro; robustissimi i giovani, che maneggiavano fucili e jatagan con sicurezza e precisione ammirabile. Presso questa gente le armi sono bottino di guerra: il padre le trasmette in eredità ai figli con l’obbligo della vendetta e della strage. Il monte Sascitsa si eleva a 692 m. Per la sua vicinanza a Vallona è una delle alture più note della catena della Lungara, che si estende dalla sponda sinistra della Vojussa in direzione meridiana fino al passo di Haghios Gheorghis o S. Giorgio (Ciafa Singjercit, in albanese) dove convergono le altre due catene di Memuc e di Chimara o Cica, il complesso delle quali costituisce la catena Acroceraunica occidentale o principale. La Lungara va gradatamente abbassandosi dal suo punto di partenza dal nodo centrale del passo dell’Haghios Gheorgios fino a Mifoli sulla Vojussa e raggiunge il massimo al m. Stogo o di Bratai (1828 m.) che concorre alla formazione del passo suddetto coi suoi fianchi meridionali. Rinchiusa fra la sinistra della Suscitsa ad est, le coste adriatiche ed il corso del fiume del Ducatit ad ovest, è più o meno argillosa nella sua metà settentrionale dai dintorni di Canina agli ultimi e dolcissimi lembi di Mifoli; calcarea in tutto il resto. Dalla cima di Sascitsa non è visibile che la prima parte: l’ossatura della porzione meridionale rimane coperta dal m. Hon. Ma ciò non riesce a togliere l’importanza del panorama chiuso dal mare, dalla estesa pianura di Durazzo, dal Tomor e dai monti di Tepeleni e di Premeti per tutto un insieme di paese che in certi punti le stesse carte geografiche segnano in bianco. Dal vertice del monte potemmo caratterizzare a volo d’uccello il paesaggio floristico. Lungo il mare, dal sottostante scalo di Vallona fino oltre la Vojussa, la stazione marittima, formata dalle spiaggie arenose e da paludi salate e miste; la zona dell’ulivo che costituisce, come abbiamo veduto, uno sviluppo interessante da Canina alla Vojussa per i contrafforti e le cime principali fino a 300 metri nel versante marittimo e della Suscitsa; la zona dei campi coltivati a cereali, tabacco, cotone, ecc., nelle dolci ondulazioni che si distendono dal villaggio di Babitsa alla Suscitsa fino al gomito che la Vojussa forma a valle di Armeni; finalmente grandi superficie di terreno incolto sotto Canina, Voditsa, per non dire dei monti Memuc o Caraburun a ponente, i quali s’inalzano aridi o macchiati di dumeti, ma sempre deserti. Canina, vista da lontano, ha l’aspetto di una città. L’impressione rimane dolorosamente smentita dalla più rude realtà. È un agglomeramento di oltre quattrocento fra case e capanne diroccate o abbandonate che sudicie vie attraversano con la più disgustosa irregolarità, ponendo lo straniero in un vero labirinto pieno d’insidie e di pericoli. Non dissimile dagli altri villaggi e borghi turchi, Canina poteva con facilità pretendere migliore fortuna dalla vicinanza del mare e dal suo ubertoso territorio. Ma i suoi abitanti, nati e cresciuti per la rapina, seppero fare del patrio villaggio una cittadella inespugnabile, un nido di temuti ladroni, molti dei quali ebbero tanta parte