— 103 — preparandola da decenni, ricevette, come abbiam visto, proprio dall’opera di Turghènjev l’impulso decisivo. Ecco un esempio eloquente di autentica evoluzione raggiunta a traverso la più onesta e incruenta azione di prò-paganda. Turghènjev non patrocinò mai la violenza. La stessa fine a cui condannò, senza eccezione, tutti i «rivoluzionari » dei suoi romanzi ne è documento. Fa eccezione Insàrov, il Bulgaro, uomo d’azione, capace di battersi e di sacrificarsi per la propria idea. Ma Insàrov aveva da liberare la patria da un giogo straniero, non aveva riforme sociali da propugnare. Quella era guerra di liberazione, non rivoluzione. Mi si può obiettare che la fine a cui l’autore condanna i suoi eroi rivoluzionari dimostra soltanto la sua sfiducia nelle loro capacità rivoluzionarie, non la sua avversione alle azioni rivoluzionarie. Verissimo; ma il risultato, sia che l’azione rivoluzionaria repugni al suo temperamento, sia ch’egli non creda all’efficacia o all’opportunità dei mezzi violenti e sanguinari, sia che egli vi creda, ma non abbia fede negli uomini che dovrebbero a quei mezzi ricorrere, il risultato è sempre lo stesso : atteggiamento negativo di fronte alla rivoluzione, ma consenso in ideali rivoluzionari. All’epoca di Turghènjev, del resto, come giustamente osserva Ossip Lourié (1), il nichilismo non era che un movimento filosofico, uno sforzo per affrancare l’uomo (1) 0. Lourié: La psychologie des romanciers russes du XIX siècle (Paris, Alcan, 1905, pag. 70).