— 39 — pensiero volgevasi, come in un supremo rimpianto, al più grande tesoro ch’egli perdeva morendo: alla sua bella, possente, meravigliosa, adorata lingua nativa, cui egli aveva consacrato, con amore di figlio, tutte le sue cure e tutte le forze del suo ingegno, facendone docile strumento armonioso per la creazione d’opere d’arte immortali : « Nei giorni di dubbio — proclama nell’ultima delle sue Poesie in prosa, scritta nel giugno del 1882, cioè poco più d’un anno prima di morire — nei giorni di dubbio, nei giorni di gravi preoccupazioni per le sorti della mia Patria, tu sola sei il mio appoggio e sostegno, o grande, possente, veridica e libera lingua russa! Se tu non fossi, come potrei io non disperarmi alla vista di tutto quel che avviene nella mia patria? No, non è possibile pensare che una simile lingua non sia propria d’un popolo grande! » E prima di chiudere gli occhi per sempre, ecco, ancora e sempre, il suo amore sconfinato per la letteratura russa, ch’egli amò con la passione d’un amante, fa vibrare di note liriche d’un supremo rimpianto gli estremi palpiti del suo cuore morente. E a Leone Tolstoj, che da qualche tempo era sembrato allontanarsi dalla produzione letteraria per darsi alla filosofia, invia la sua ultima preghiera, rimasta memoranda, per raccomandare a lui, il più grande dei Russi viventi, la più preziosa eredità che lasciava: la letteratura russa. « Vi scrivo espressamente per dirvi quanto sono stato felice di essere vostro contemporaneo e per rivolgervi la mia ultima grande preghiera... Amico mio, tornate ai