— 11 — Fu proprio una vecchia Lutovìnova la sciagurata eroi, na della brutale uccisione d’un piccolo servitore cosacco, ch’ella aveva dapprima percosso a sangue per punirlo d’una sua disobbedienza e quindi ferocemente soffocato sotto un cuscino per non sentirne i lamenti. In tal modo Ivàn, fra le svariate impressioni di odiose scene tiranniche pressoché quotidiane, cui era spettatore sovente, vittima talvolta, e per gli esagerati rigori d’una madre che non l’amava, e per l’insipienza d’un padre che non lo curava, crebbe nella materna tenuta di Spàskoe Sjelò straniero ai suoi stessi genitori. Schiava in tutto e per tutto dei pregiudizi e delle prevenzioni della sua casta, Varvàra Petròvna (non Sergio, giacché, inetto e molle, egli aveva del tutto lasciato alla moglie, sposata solo pel suo patrimonio, le redini della famiglia), Varvara Petròvna, di cui non è agevole dire se avesse più meschino il cuore o l’intelletto e che, seguendo la moda degli aristocratici russi, aveva in dispregio la lingua nativa come quella che sol s’addice a comandi da trasmettere ai servi, affidò l’educazione e l’istruzione del figlio a precettori e maestri stranieri, venuti di Francia e Germania, gente per lo più di men che mediocre elevatura intellettuale e morale, pedagoghi pezzenti e servili, cui non incombeva altro compito che quello di radicare e perpetuare nell’animo e nella mentalità dei discepoli gli errori e le menzogne tradizionali della famiglia. I primi elementi dell’educazione d’Ivàn poggiarono così sulle più infide basi: tutto quel che di sano e concreto gli rimase dall’insegnamento dei suoi precettori fu