— 57 — sconfinate della sua Russia, frammezzo alla primitiva gente dei campi, agli umili servi della gleba e gli fa vivere la loro vita, lo fa assistere ai loro colloqui, gli pone sotto gli occhi le loro miserie. Ma queste miserie, che for. mano il vero spirito profondo dell’opera, non costituiscono mai, o quasi mai, il tema del racconto. Zampillano fuori, dove e quando meno il lettore se l’aspetta, da un piccolo episodio secondario, da un accenno incidentale, dal racconto casuale, durante il colloquio col cacciatore, di qualcuna delle vittime o di qualcuno dei tiranni. * * * Furono questi racconti il colpo di grazia all’incivile istituzione, ormai già da anni sgretolata e vacillante? E’ probabile. Forse l’autore stesso non se ne rendeva completamente conto quando li scriveva; il fatto si è che non dovevano trascorrere ancora dieci anni e l’abolizione della servitù della gleba, sogno secolare di anime generose, la cui formulazione sol qualche anno prima avrebbe costituito, e costituiva, reato perseguibile con la prigione, il confino, la Siberia, la morte, maturati i tempi, doveva finalmente trovare, nelle riforme liberali dello zar Alessandro II, la sua definitiva realizzazione. Lo stesso zar, se dobbiamo prestar fede a quanto troviamo annotato nel diario di Edmondo Goncourt (1), avrebbe indirettamente fatto sapere a Turghènjev che proprio la lettura del suo libro era stata uno dei grandi motivi della sua determinazione. (1) Journal des Goncourt, vol. V, Paris, 1891.