— 53 — di accusa e conseguentemente la migliore condanna di uomini, cose e sistemi. E’ questo uno dei vanti più belli, uno degli aspetti più gloriosi, di tutta la letteratura russa fino alla liberazione. Nell’insuperata maestria dell’arte realistica che la caratterizza quasi tutta, la letteratura stessa adempie così, il più delle volte, a un’alta e nobile missione sociale: rivelando le piaghe sanguinanti del paese, ne consiglia indirettamente i rimedi. Lo scrittore non interviene mai: egli osserva, registra, espone. Il lettore giudica. E’ questo il grande segreto dell’arte, anche quando il realismo è volutamente deformato dalla satira, intesa a bollare, sotto la sferza del ridicolo, i difetti reali di uomini e cerehie sociali. Così è in Von Vìzin, in Griboièdov, in Ostrov-skij, implacabile fustigatore quest’ultimo dell’inquina-ta società di mercanti moscoviti; così è nel Revisore di Gògol, che fustiga a sangue la corruzione degli impiegati; così nelle sue Anime morte, dove, a traverso l’umorismo apparente di situazioni assurde, traspare nella sua orrenda realtà l’immensa tragedia di quelle migliaia e migliaia di povere anime abbrutite, senza personalità, quali sono i servi della gleba. Così è in Gonciaròv, così è in Cèchov, così è in Saltykòv. Turghènjev appartiene invece all’altra categoria — che è anche la più numerosa — degli scrittori russi: ai realistici puri. Ben raramente egli fa ricorso alla satira, e quand’anche vi fa ricorso, questa non è che accidentale nel realismo generale del racconto. Così è in Dostojèv-skij, così è in Tolstoj, così è in quasi tutti i grandi rappresentanti della prosa narrativa russa.