— 122 — te, che è condannato dalla storia a correre sempre dietro all’Europa occidentale. » (1). « Nessuno al mondo — afferma altrove un altro dei suoi eroi (2), —è più bugiardo del popolo russo. » E Bazàrov, il giovane nichilista riformatore della società, il protettore degli umili, il difensore degli oppressi, non crede egli stesso affatto alle virtù del contadino slavo e le chiama leggende : « Il Russo non è buono — afferma poi generalizzando, — se non quando ha cattiva opinione di sé. L’importante è che due più due fa quattro, e tutto il resto non conta... » (3). « Noi siamo stupidi come dei bambini, ma non siamo sinceri come loro — conclude altrove — siamo freddi come dei vecchi, ma non abbiamo il loro buon senso... E, ecco la cosa più importante, non siamo giovani neppure nella nostra giovinezza!... » (4). Riflessioni e considerazioni simili s’incontrano non di rado negli scritti turgheneviani. Il poeta, che pur professa un culto così devoto alle lettere russe, dando loro tanta parte dell’anima propria, sembra, a volte, disprezzare le origini stesse della letteratura nazionale, non riconoscendo nulla di poetico, né di russo neppure nei testi degli anitichi canti eroici e popolari russi, nelle byline, nelle quali mostra di scorgere solo spirito selvaggio e tartaro. (1) Pavlovskij: Ricordi su Turghenjev. (2) Terre vergini. (3) Padri e figli. (4) Una corrispondenza.