— 69 — ben conto e studiavo intensamente tutto ciò che mi circondava, come per cercare una conferma di quel che intimamente sentivo. Mi turbava questo fatto: che in nessuna delle nostre produzioni letterarie non avevo mai trovato la benché minima allusione a ciò che da per tutto destava in me meraviglia. Senza volerlo, mi venne un dubbio: che io non stessi correndo dietro a dei fantasmi? « Mi ricordo che insieme con me, nell’isola di Wight, c’era un Russo, un uomo dotato di fine gusto e d’una particolare sensibilità di quella che il compianto Apollòn Grigorjèv chiamava epoca di vagliatura. Gli manifestai i pensieri che m’assorbivano e, con mia grande meraviglia, mi sentii fare quest’osservazione: — Ma tu, in sostanza, hai già raffigurato una tipo simile... nel Rùdin. — Io tac. qui: che avrei potuto dire? sono Rùdin e Bazàrov un solo e medesimo tipo? « Queste parole produssero in me un tale effetto che per qualche settimana deposi ogni pensiero del progettato lavoro; ma, tornato poi a Parigi, mi volsi nuovamente ad esso e la fabula si delineò a poco a poco nel mio cervello: durante l’inverno ne scrissi i primi capitoli, ma non terminai il racconto che in Russia, in campagna, nel mese di luglio. Nell’autunno lo lessi ad alcuni amici, vi feci qualche correzione, vi apportai qualche aggiunta, e nel marzo del 1862 Padri e figli vide la luce nel Messaggero russo... »