CAPITOLO XII. 415 cheggiar qualche casa, e di fucilare qualcuno dei cil-ladini più cospicui. E così ebbe fine l’insurrezione di Verona, che i Francesi, in commemorazione dei vespri siciliani, hanno chiamalo le pasque veronesi. Proprio nei giorni in cui più accanila in Verona fervea la zuffa, accadde in Venezia un altro atto di grande soverchieria da parte dei Francesi, che avrebbe servilo •mirabilmente alle sinistre intenzioni del Bonaparle, quand’ anche, come molli ritengono, non fosse stato direttamente da lui ordinato. Per legge antichissima del senato, era rigorosamente interdetto a qualsiasi nave straniera che. fosse armata, il penetrare nell’estuario. Chiamatosi nuovamente in vigore quel decreto, per le straordinarie contingenze dei tempi, si ebbe cura di notificarlo ai diversi ministri delle potenze estere, residenti in Venezia. Tutti scrupolosamente vi si conformarono; quand’ecco, la sera del 20 aprile, si vede avvicinarsi al lido di San Nicolò un legno armato, con evidente intenzione di entrare nel porto. Domenico Pizza-mano, deputato alla custodia del lido, gli mandò tosto a notificare il divieto del senato; ma il capitano, senza nemmanco rispondere, tirò dritto, e, sforzando la bocca del porto, vi gettò l’àncora. Seppesi tosto che il legno era francese, detto il Liberatore d’Italia, sotto il commando di Laugier, il quale, mentre passava per la bocca, faceva trarre nove colpi di cannoni, colla scusa di salutare i Veneziani. Ma costoro non credettero che quei tiri fossero fatti per complimento, onde risposero fuoco per fuoco. Oltreché, capitati in quel mentre nuovi legni di Schiavoni, assaltarono ad arma bianca il legno francese, e vi commisero atti di un’estrema ferocia. Ebbero