CAPITOLO XII. 305 studiava qual fosse il mezzo più acconcio per impedirla, poiché lutti gli sembravano, ed erano infatti, l’un più dell’altro, pericolosi. Si risolse, alla fine, di scriverne direttamente a Bonaparle, con cui era in certi rapporti di amicizia, per fargli sapere come in Brescia alcuni sce-lerati, dandosi nomedi Francesi, tramassero insidie contro 10 stalo; quindi si compiacesse di accordargli otto o dieci fra i lauti pezzi d’artiglieria veneta che erano in di lui mano, onde potesse difendersi; ed in pari tempo vietasse ai soldati lombardi il passaggio per quella provincia, e non permettesse che i rivoltosi cercassero l’impunità col mettersi sotto la proiezione di Francia. Al che, Bonaparle, come di ragione, rispondeva con vaghe ed insignificanti parole. La mattina del 18 marzo i rivoltosi si fecero inanzi ; erano circa 500 tra Lombardi e Bergamaschi, preceduti da 60 ufficiali francesi, con due buoni cannoni. Il podestà Mocenigo voleva che si armassero i soldati della república per far loro resistenza; il proveditore Battaglia, invece, stimò meglio mandare due ufficiali ribelli per udire quello che si volessero, onde, se mai fosse slato il caso di accomodarsi colle buone, evitare una deplorabile effusione di sangue; perchè sapevasi, che oltre quei primi armati, tenevano dietro lOm. Cisalpini. Ma essi risposero che volevano liberare ad ogni costo il popolo bresciano dalla tirannide veneta, e che, per meglio riuscirvi, aspettavano 11 soccorso di 10 mila soldati: per cui, se avessero trovato resistenza, avrebbero inesorabilmente bombardala la città. Echi teneva questo linguaggio era un bresciano! 11 Battaglia, adunque, per non esporre quel paese, e forse inutilmente, a gravi disastri, raccoglieva tulli i sol-