CAPITOLO 111. 89 a visitare, fra le altre meraviglie ond’ò ripiena Venezia, l’antico palazzo ducale, non è di raccapriccio o d’orrore, ma sente stringersi il cuore da un senso di profonda pietà, quando, giunto nella sala del Gran Consiglio, tra 1’elHgie di tutti quanti i Dogi, scorge un quadro ricoperto di nero, sul quale, nel crudele, ma deluso intento di perpetuarne l’infamia, furono scritte tali infauste parole: Hic est locijs Marini Faletri de CAPITATI PRO CRIMINIBUS. Ma la verità, che si sottrasse alle più accurate indagini degli storici, balenò limpidissima alla libera e divinatrice mente del poeta. E forse lord Byron ha indovinato il carattere del Faliero, mentre egli pensava solo ad idealizzarlo per renderlo più degno protagonista del suo dramma. Sì, talvolta gli ornamenti poetici riescono a travisare e ad olfuscare il vero; ma qualche altra giovano eziandio a metterlo in nuovo splendore di luce. E sono oflicii cotesti da non dimenticarsi in un secolo tanto sollecito per gli interessi materiali, e sprezzante di ogni poetica vaghezza. Ai nostri dì si vorrebbe impor silenzio al cuore, perchè si crede che esso sia sempre in lotta coi freddi calcoli del raziocinio. Ma noi sappiamo che non s’è mai fatto al mondo niente di bello, niente di grande, se non per impelo di sentimento. Senza del quale, la perfida logica dell’interesse ridurrebbe ben presto l’uomo da un ributtante egoismo allo stato di perfetta apatia! Ecco il genio di Byron, in qual modo fa parlare Marin Faliero un momento prima che la fatai scure gli troncasse la vita. E una profetica elegia che ti stringe il cuore: — Oh elementi coi quali verrò tra pochi istanti a confondermi; o flutti d’azzurro che portaste la mia bandiera; o St. bel Cons. dei Dieci—Voi. I. 12