546 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI Dieci, ancorché falso e precipitato, apparisse, nondimeno, perfettamente legale. Pure, la tradizione popolare che vuol intender le cose un poco a modo suo, e che, talvolta, a furia di sbagliare, arriva ad essere la più equa e la più competente retributrice della lode o dell’infamia presso ai posteri, non è poi tanto indulgente verso i signori Dieci, come il Dall’ Ongaro vorrebbe mostrarsi. Però, non fa meraviglia se il Sagredo, per quelle ragioni che abbiamo altrove notate, nella narrazione di questo caso, se la sbriga con pochissime parole. — Ne furono giù, fatte tantel egli dice.—Anzi, tenta di allontanare dai Dieci persino la responsabilità dell’errore, asserendo che quell’ innocente, dannato a morte per le apparenze degli estremi legali , il fu dalla Quaranlia Criminale, sede di giudizio di tutti i delitti, meno quelli di Stato; e non avvertì la circostanza, non ¡sfuggita, per altro, al Dall’ Ongaro, che, essendosi consumalo ¡1 delitto sulla persona di un patrizio, l’omicidio veniva qualificalo di lesa maestà, e « come tale cadeva, di natura sua, sotto la giurisdizione del Consiglio dei Dieci. » Anzi, a sentire il Sagredo, falso sarebbe l’asserto che ai Dieci., od ai Quaranta, si ricordasse la fine del For-naretto, quando avevano a votare per una sentenza di morte. Sicché, per poco, egli non negherebbe per sino 1’ esistenza del fatto, in memoria del quale, per un sentimento di pietosa ricordanza, si continua pur oggidì ad accendere in Venezia una lampada, quasi che essa valesse a suffragar l’anima dell’innocente giustizialo. Convien confessare, però, come il solo documento scritto intorno al fallo del povero Fornaro, si trovi in un registro dei giustiziali, che il Dall’ Ongaro trascrisse fra le notizie da cui ha. fallo precedere il suo dramma, ed è il