CAPITOLO V. 113 siasliche, il clic torna a mina delle anime del doge e dei senatori, ed a scandalo di infinite altre persone; così gli autori di queste leggi hanno incorso le censure ecclesiastiche ingiunte dai sacri cànoni, dai concilii generali e dai sommi pontefici, e la perdita di tutti i feudi e beni che essi tengono delle chiese. Delle quali censure e pene essi non possono venir assolti che da noi, o dai nostri successori, mentre dichiarasi che sono inetti a ricevere l’assoluzione, finché non abbiano rivocate le leggi incriminale con nuovi editti e nuovi decreti, e rimesse le cose nel loro stato primitivo. Però, ostinandosi il doge ed il senato, malgrado le paterne rimostranze ed esortazioni che da qualche mese loro abbiam fatto, a non voler rivocare le loro leggi, ed a ritenere sempre in prigione il canonico Sarasin e l’abbate Bran-dolin senza consegnarli, come pur dovevano, al nostro venerabile fratello Orazio, vescovo di Gerace , nostro nuncio presso di loro: noi, risoluti a non sopportare che,*in alcuna guisa, sia violata la libertà ed immunità ecclesiastica, nè che l’autorità della santa sede e la nostra venga disconosciuta, conformandoci ai decreti di molti concilii ecumenici, e seguendo gli esempi di Innocenzo 111, Onoralo 111, Gregorio IX, Alessandro IV, Clemente IV, Martino IV, Bonifacio Vili, Bonifacio IX, Martino V, Nicolò V, e di molti altri papi nostri predecessori; dei quali gli uni hanno rivocati consimili Statuti contro la libertà ecclesiastica, come di diritto nulli ed inefficaci, e come tali li hanno dichiarati; ed altri non hanno esitato a scagliar scomuniche contro gli autori di tali decreti : dopo avere ponderatamente deliberalo coi nostri venerabili fratelli, i cardinali della S. E. ST. dei. Cons. dei Dieci — Voi. II. 15