CAPITOLO Vili. •¿29 lecita il prurilo dell’ambizione insaziabile; la speranza comune degli onori non mi perturba; non mi agita il desiderio degli applausi. Nelle avversila della pairia, cosíanle, nulla temo; nelle prosperila, moderalo, niente profitto. Non miro altro polo; non tengo altro scopo, che quello che s’ hanno prefisso i noslri maggiori, sempre venerabili, della perpetuila della patria. Siamo lutti a quest’obbligo astretti di trasmettere inviolabile, ed inestinto ai posteri quel lume di gloria e di libertà che i nostri padri ci hanno consegnato già tanli secoli. Conosco che l’uomo non ha più divino offizio, che regger gli altri; ma è altrettanto difficile? e, se tal è sopra gli inferiori il governo, quanto più sarà arduo il comandare agli uguali ? Ma questa è la nostra gloria, che abbia le sue vicende la maeslà e l’obbedienza, che siamo ugualmente capaci di reggerete d’esser retti, che alla dignità ambiziosa dell’imperio s’àccoppii la virtuosa moderazione della vita privala, ed il giogo soavissimo della legge. Così la nostra república è a modo d’un cielo disposta, nel quale lutti i citladini, come appunto gli astri, tengono per offizio nell’universale felicità influire e risplendere; ma con varii siti, con affetti diversi, con differenti moti, godendo alle volte la pienezza del lume; bene spesso imprestandolo ad altri, lalora sofferendo gli ecclissi. Dovremo dunque accusare la Providenza divina, perchè a tulli non abbia compartili gli offizi medesimi e i posti ? Dunque anco nella patria, dove dieci formano un supremo Consiglio, che con annue vicende danno luogo al merito degli altri, ci concileremo ad invidia ed a sdegno, perchè tutti non possiamo capirvi ? Inorridisco a pensare che vi sia chi detesti il rigore della