CAPITOLO XII. 421 mento della paura, che tanto vale nelle illuse moltitudini, e, circondatosi dalle persone più influenti del paese, con aria profetica si diede a persuadere le turbe che non restava loro altra alternativa che questa: o subito fusi col Piemonte, e per sempre liberi 5 0, tra breve, di nuovo schiavi degli Austriaci. Pur troppo, l’asseveranza del Gioberti non valse ad impedire che ora quei miseri non siano fusi e schiavi in pari tempo: ma allora la scelta non poteva esser dubbia. Si aprirono, precipitosamente, dei registri; si indusse l’ignara popolazione delle campagne ad apporvi il suo'nome, 0 meglio, la sua croce; e poi, si spedì a Milano un infausto messaggio, con minaccia che, quand’ essa non avesse fatto immediatamente al trotan lo, Brescia si sarebbe ribellata al governo centrale, ed avrebbe fatto da sè. Per tal modo, in quel momento in cui c’ era così supremo bisogno di concordia e di fratellanza^ il prete Gioberli non temette di’ fondare il trionfo della sua politica sul dissenso e sulla scissione dei parlili ! — Una volta, poi, così ridestalo nei poveri Bresciani il deplorabile spirilo di una gara municipale, per un momento perdettero il senno, e, dimentichi a un tratto della dignità di uomini e della solenne contingenza dei tempi, prestarono un omaggio di idolatria al falso profeta, si prostituirono dinanzi a lui, e, staccati i giumenti dal suo cocchio, si posero a trascinarlo per le vie in loro vece. E Gioberli lasciò lare ! E non isdegnò di offendere la sua dignità di filosofo e di prete cattolico, dividendo le baccanti ovazioni di una prima ballerina (1)! Non facciamo, dunque, carico (1) Vedi l’OpuscoIo su La Politica di Vincenzo Gioberti, osservazioni ¡storico-critiche di Mauro Macchi. — Torino, 1849, pag. 17 e scg.