CAPITOLO XIII. 487 più fortunata delle città sorelle, potè liberarsi dallo straniero, senza spargimento di sangue; poiché Punga-rese generale Zilchy, cui. era affidalo il comando militare di quella città, mosso a sentimenti di umanità, non ebbe il coraggio di ordinare lo sterminio di tanti cittadini e dei meravigliosi edificii onde va superba quel-l’unica città; per il che, come vide il popolo deciso di correre alle armi, preferì di allontanarsi spontaneo con una onorevole capitolazione (1). L’Italia non dimenticherà mai questo nobil tratto di uno fra i più cospicui figli dell'Ungaria, e l’avrà come pegno della fratellanza che deve stringersi immancabilmente fra le due generose nazioni. Qual uso doveva fare Venezia della ricuperata indi-pendenza? — Se al mondo fu mai sovrana e legittima cittadinanza, questa-fu certamente in Venezia. Essa era legittima proprietaria di quella terra che fé’sua, in virtù del santo diritto che ha l’uomo che, primo, occupa terre deserte, e le coltiva. Nelle sue lagune ebbe asilo la sovranità, l’antichissima autonomia delle gente latina; e Venezia era legittima signora dell’aver suo (2). Chi potè mai allegar diritti di proprietà sulle mura fondate su quelle lagune? Ben fu ladro il conquistatore che, (1) Le principali condizioni furon queste: che il generale lascicrebbe in città armi, bagagli e cassa; resterebbe egli in ostaggio finché i patti fossero-adempiuti ; la truppa s’imbarcherebbe' per Trieste, e la città le darebbe tre mesi di paga. (2) Quest’ idea è talmente radicata nell’animo dei Veneziani, che corre fra loro il seguente proverbio : « Venezia la xc nostra, l’avemo fatta nu. »