STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI sostenuta nello scopo di conservare il tesoro della propria nazionalità, che redense la Penisola ispanica dai suoi antichi peccati, ridestolla dal cisposo e secolare suo letargo, e per mezzo di una luttuosa e diuturna prova di sangue, che dura pure oggidì, la fece degna di prender posto fra le più distinte nazioni europee. È facile quindi comprendere qual senso di profonda compiacenza debba provar lo scrittore che si accinga a ragionare di una città, la quale deve appunto 1’ essere suo ad una vigorosa protesta contro la dominazione straniera. Caduto l’ùnpero romano sotto il peso stesso della sua troppo enorme grandezza, alcuni popoli settentrionali mossero a questa feconda parte del globo per non morire di fame nelle loro foreste, e per impinguarsi colle spoglie della nostra bella nazione, che allor giaceva esausta e supina, facil preda al primo occupante. Non furono dunque quei barbari nè politici ambiziosi, nè intrepidi conquistatori, ma piuttosto simili a’vermi che si fan pasto del cadavere di un gigante. Percossa, nel ìv e v secolo, da nazioni selvaggie, l'Italia diede fama a nuovi statiche, surti fra le comuni sventure, serbaron quasi la tradizione vivente di quei tempi ; tempi in cui si videro genti nelle sembianze difformi, negli atti più bestiali che umani, distendersi su questa terra indebolita dalla lontananza degli imperatori, i quali, credendo di meglio difendere l’impero, avevan scelto Costantinopoli a loro dimora. Visigoti, Burgondi, Franchi, Vandali, Alani, popoli di vario nome, ma tutti d’un solo intendimento, occuparono, insieme con l’Italia, le più belle provincie dello sfascialo impero romano, e vi fecero stanza per varii