CAPITOLO XIV. 375 l’assicurava che la nazione veneta era stimata ed onorata ne’ suoi Stati più di qualunque altra ; diceva che lutti i commercianti Veneziani erano padroni di andare, e stare, e far negozi nelle terre mussulmane, liberamente, senza nemmanco l’aggravio di alcun tributo. E così cortesi parole erano accompagnale da un dono ancor più cortese. Per il che, il Balbo fa gran lamento, e deplora che già fin d’allora lo zelo commerciale superasse qualunque altro, e facesse prendere \ mezzi termini, nè sa perdonare a Venezia che, nell’anno istesso della conquista, abbia fatto col barbaro conquistatore un trattato di pace, d’alleanza, e buon vicinato per salvare i suoi stabilimenti, i suoi scali, e a capo di essi il bailo, ambasciatore, consolo, giudice dei cittadini Veneziani là sofferti. Ed è per tale buona intelligenza subito stretta, e poi sempre mantenuta, col Turco, che l’Amelol asserisce che i Veneziani di buon grado avrebbero rinuncialo all’amicizia di lutti i principi cristiani per conservar quella di lui; e, quando fosse venuto il caso, non si sarebbero punto curati di tradire i migliori amici, piuttosto che dare lor minima ombra alla Porla (1). A sentire per altro gli storici veneti, questi falli proverebbero solo che la republica, poiché il male fu deciso ed inevitabile, ha saputo rassegnarsi a trarne il miglior partito possibile, nè a detta loro si potrebbe da ciò dedurre che abbia visto compiersi quel funesto avvenimento senza provarne la massima costernazione, e, (1) Ne\\’ffistoire du gauvernement de Venisc si legge eziandio die i Veneziani furono sempre così compiacenti col Turco, tque les Italiensles ap-pellent semi-turchi, et que les Espagnols nomment Fenise l’emancebada del Turco, c’est-à-dire, In concubine du Ture, parce qu’elle en souffre toni, i