CAPITOLO VII. 179 venne interdetto a chiunque il levare dagli archivi dello Stato qualsiasi secreto documento. Noi vedemmo come Venezia, la più antica e la più illustre delle republiche italiane, abbia tolto al popolo tutti i suoi diritti per conferirli ad un Consiglio rappresentativo dapprima, e poscia ereditario. L’aristocrazia, vera signora dello Stato, aveva gelosamente allontanato il popolo da ogni ingerenza nei pubblici affari. Nè meno gelosa era del capo della nazione; e per quanto limitati già fossero i poteri del Doge, ad ogni nuova elezione faceva qualche nuova restrizione. Grandi virtù reggevano la veneta república; pertinacia nei propositi, grandezza d’animo nei rovesci della fortuna, saggia economia, profonda politica, impenetrabile secreto. Ma siffatte virtù può vantarle eziandio la più truce tirannia. Ci vuol altro per i popoli liberi. Mai che siasi trovalo nel governo di Venezia impeto di generosità, magnanima indegnazione pei veri nemici, nobile pietà per il vinto, il minimo sacrificio del proprio interesse nella lusinga del bene generale. Sicché a gran ragione disse il Sismondi che la república, circondata da tanti tiranni, lottava contro di essi colle proprie loro armi (1). Ma, per tornare ai fatti della politica esterna, dobbiam narrare come siasi la república acquistalo somma lode di moderazione per il prudente rifiuto da lei dato ai deputali della città d’Ancona, la quale, suddita dello Stalo pontificio, ed ambita dal signore di Pesaro, credette di non poter meglio provvedere ai proprii interessi, che col porsi sotto i polenti auspicii della veneta república. Troppo pericoloso sarebbe stato a costei 1’ andarsi a cercar nuovi guai col dare occasione di malcontento al (1) Sismondi, Histoire des républiques italien, du moyen âge, vol. \iii.