CAPITOLO XII. 309 Ed, innanzi tulio, in quanto alla circostanza delle tre copie, di cui ha fatto sì gran caso il Daru, osserva il Giovini che quella a stampa è oramai universalmente riconosciuta per apocrifa; e le altre due, a penna, son così fatte da volerci proprio tutta la prevenzione, per non dire una decisa ostinazione o malevolenza a non riconoscerne la falsila, mentre gli Statuti sono « così assurdi, così fallaci, che parrà cosa incredibile come vino storico abbia potuto ingannarsi al segno di voler ¡spacciare un parlo manifesto dell’impostura come atto autentico ». (1) Sicché conclude che, avendo il Daru tolto da fonti così impure il quadro dell’antico governo Veneto-, per necessità ne consegue che egli ce ne porge una falsa pittura, una cosa talmente lontana dal vero che, in nessun modo, si potrebbe con documenti giustificare. Si noti, però, che, con questo non intende il Giovini di scusare la republica di San Marco, in quanto aveva quel governo di irregolare e di immorale, come egli stesso si esprime. Il Daru si vanla per la scoperta da lui fatta degli Statuti, e si compiace perchè nessuno , fra i molli scrittori d’istoria veneta a lui anteriori, ne abbia avuto contezza, compreso il celebre professore Siebenkees. E tulle le ragioni che ei produce per farli credere autentici, sono queste: primo, che oltre al testo manoscritto, da lui fatto stampare, altri quattro ne ha trovati, due in Francia e due in Italia: secondo, che nel trattalo del governo Veneto « si riferiscono varii frammenti di quegli Statuti, benché, a dir vero, senza citarli; e da ultimo, che se (1) Vedi V Appendice sugli Statuti della inquisizione di Stato di Venezia, stampatasi colla traduzione del Daru a Capolago, toni, x.