521 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI Sarpi » (1), e fonda le sue congetture sulla grande conformila di pensieri che vi si trovano; come, ad esempio, sarebbero questi di accrescere la potestà del Consiglio dei Dieci, abbatter quella dei magistrati minori, dar nerbo all’oligarchia, avvilire la plebe patrizia, comprimere dappertutto con una mano di ferro, disfarsi degli avversarii, facesse pur d’uopo, per riescirvi, di ricorrere al delitto; nessun pensiero di leggi, d’ordine, di publico decoro ; far uso sempre della violenza, ma con occulto e proditorio artifìcio; nessuna considerazione agli inconvenienti ed ai pericoli che ne potessero insorgere, e finalmente il più oltraggioso disprezzo, o, diciam pure, la più stolida incuria dell’opinion publica. Se non che negli Statuti l’autore ha seguito solo un sistema di polizia interna, mentre si è esteso r\e\VOpinione anche agli affari della politica esteriore; ma lo scopo, infin dei conti, sarebbe sempre lo stesso. Ed a stendere tali scritti, per opinione del Giovini, 1’ autore sarebbe stato indotto da ciò che, trovandosi escluso, per le condizioni della sua nascila, dagli onori del patriziato, avrebbe inteso con quelle due opere di concitare la gelosia e lo sdegno dei nobili poveri contro i ricchi e polenti. Anche il Tiepolo nella sua confutazione al Darti, spende parecchie pagine intorno a cotesti Statuti, e non teme di esclamare che « la supposizione di aver trovato un nascosto tesoro non lasciò tempo all’istorico francese di riflettere sulla possibile falsità di questa gemma » (2). Innanzi lutto si accinge a combattere l’argomento sul (!) Vedi VAppendice succitata. (2) Discorsi, ossia Rettificazioni di alcuni equivoci, ecc., del C. Domenico Tievolo, voi. 2