CAPITOLO IV. >J7 altri; come se non fosse orribile colpa il non fare sacrificio di ogni cosa, piuttosto che vedere il proprio paese cadere in mano degli stranieri! Per maggior disgrazia, l’esercito di Luigi aveva suo nerbo nella cavalleria, al cui genere di guerra non erano punto avvezzi gli Italiani, sicché più facile a lui rimaneva l’obbrobriosa vittoria. Già le milizie ungaresi stringevano d’assedio il piccolo forte di Conegliano, e movevano verso Treviso. A difendere la quale città erano accorse le truppe dalla Dalmazia, sotto il comando di Giovanni Dolfino e Paolo Lo-redano. Conegliano in breve soggiacque. Fu grave sventura; ma non se ne sgomentarono li intrepidi difensori di Treviso; poiché, grazie al cielo, non era detto che quella città dovesse, per allora, soccombere sotto l’ira degli estranei. Col suo eroico coraggio seppe resistere al nemico, finché questi, stretto da cento bisogni, dovette convertire l’assedio in assalto. Ma i Trevigiani così fervidamente combatterono, che nessuno dei nemici usciva in campo senza rimanerne ferito; sicché Luigi fu costretto a ritirarsi colla perdita di molte migliaia de’suoi (1). Né contro i Padovani trassero i Veneti altra vendetta che quella di interrompere con essi ogni commercio, e richiamare a Venezia il pretore Marco Mauroceno (2). (1) Haec inter in Tarvisinis nostris ila strenue dimicabant, ut ex ho-stibus vix ullus e castris eramperei, qui non saucius redirei; repulsus tandem ab urbis obsidione rex, eaesaque multa Pannonum milliu. — Così il Veri. (2) Il Daru dice, per altro, che gli stati del signor di Padova vennero guasti dalla piccola annata di Marco Giustiniani, Sr. del Cons. Dei dieci —Vol. 1. 13