108 STORIA DEL CONSIGLIO DEI DIECI all’imperatore, ai re di Francia e di Napoli, i quali appunto promisero, com’era ben da aspettarsi, che non si sarebbero menomamente immischiati in favore degli oppressi coloni (1). E antico il proverbio: cane non mangia cane. Con enormi sacrificii giunse la republica a mettere insieme una flotta di quaranta navi lunghe, oltre quelle da carico, capitanate da Domenico Micheli, ed un esercito di soldati da ventura (2), capitanato da Luchino Dal-Verme, allora comandante delle milizie del signor di Milano. Fatalmente gli insorti avevan fatto troppo mal uso della prima vittoria, poiché invece di pensare a mantenersi numerosi ed uniti, si diedero ad incrudelire contro quelli che nella riscaldata loro fantasia, si tenevano ancor ligi all’antico ordine di governo. Non fu risparmiato l’istesso Gradenigo; e per tal modo le loro forze, appena sufficienti per tener testa contro il formidabile nemico, furono miseramente rivolte a mal uso e disperse. Troppo facile fu quindi a Luchino Dal-Verme il riportare vittoria; e quei medesimi, or dianzi così sordi ad ogni più onesta trattativa di pace, prostraronsi umilmente ai piedi dell’ammiraglio Micheli, implorando mercè. E la mercè fu che egli s’impadronì disdegnoso del porlo e della città, condannò all’ estremo supplicio i rivoltosi, e pose grossa taglia sul capo dei fuggitivi. Questo per il presente ; per l’avvenire poi fu accresciuta a dismisura la potestà del duca e dei consiglieri: furon posti in maggior dipendenza i coloni; si svelsero di colà (1) Destinatili ad Europaeus principes legatiti, ne rebellibus auxilia mbminiitrarent. (2) Il Sabellico lo dice composto di 1000 cavalieri e 2000 pedoni