CAPITOLO Vili. 257 pontifìcia veniva a consacrare il principio: non potersi fare miglior uso dei beni della Chiesa , che adoperandoli a pro della patria; ed è appunto sotto questo aspetto che deve considerarsi la raccomandazione più volle falla al parlamento piemonlese di abolire tulle quanle le corporazioni religiose e dichiarare i loro possedimenti di proprietà nazionale (1). Ma da un papa non si poteva aspettare questo beneficio senza che fosse a ben deplorabili condizioni ; imperocché Alessandro VII non consentì all’ abolizione di tulli gli altri conventi, se non a patto che fossero riammessi in Venezia quei gesuiti che v’erano stali espulsi tanlo solennemente, perchè causa d’immensi maleficii alla república. Eppure, questa volta bisognò proprio piegare il capo allá fatale necessità del danaro, senza contar quella di compiacere al pontefice e di non disgustare la Francia, che, in quell’occasione, aveva mostrato pei gesuiti un interesse lanto più vivo quanto più inesplicabile. All’invisa compagnia venne, per altro, data licenza (1) Per sopperire agli straordinari bisogni dell’erario, all’uopo di mettersi in grado di riprendere quando che sia la santa guerra della libertà e dell’indipendenza, l’avvocato Brofferio , propose alla Camera dei deputati il seguente progetto di legge : — Art. l.° Tutti i conventi e tutti i monasteri, di qualunque ordine, esistenti nello Stato, sono aboliti ; 2o I beni dei conventi e dei monasteri appartengono allo Stato : 5° Ai frati e alle monache che avranno portato una dote al convento o al monastero sarà corrisposta una pensione vitalizia, proporzionala alla somma da essi esposta : 4° Ai frati che avranno passata l’età di cinquantanni , e alle monache che avranno compiuti gli anni quaranta sarà corrisposta una pensione annuale di 400 lire, ancorché non abbiano portato beni al convento od al monastero.