242 STORIA DEL CONSIGLIO DÈI DIECI Oramai non si parlava più che di arrendersi. Era l’opinione universale, la quale riesciva discorde per questo soltanto, che chi preferiva per minor male il re di Francia, chi quel di Napoli, chi il papa o il duca di Savoia. Niuno parlava dello Sforza, tutti dei Veneziani, ma con raccapriccio. Eppure tanta era l’autoriia di Gasparo da Vi-mercato, che riesci a ridurre la scelta solo fra questi due. — I Veneziani, colla loro bella politica, erano riguardati in Milano come i sempiterni nemici del popolo, per cui il popolo milanese non li voleva per nessun conto. Questo guadagnò la república per essersi sempre mostrata, giusta il vizio delle aristocrazie, non meno bramosa di togliere ai Milanesi la loro libertà, che di mantenere la propria (1). Sicché i miseri cittadini di Milano, pur troppo persuasi oramai d’avere indarno fatto tanto sacrificio di sostanze, di fatiche e di sangue pel desiderio di viver liberi, cominciarono a far eco alle grida accortamente sparse tra loro da alcuni patrizi di evviva Francesco Sforza. Questi entrò in Milano, il 26 febbraio, con copiose munizioni da elargire ai famelici cittadini. Ben vi fu allora qualche generoso che ebbe il coraggio di eccitarlo a promettere che non avrebbe mai posto mano ai civili diritti. Ma presto accorsero gli abbietti zelatori a turar loro la bocca; ed il duca, per tutta risposta, diè di sprone al cavallo, e corse in duomo a far orazione. Poi, sua prima cura fu quella di disarmare il popolo per metterlo, con miglior agio, sotto la paterna custodia delle sue numerose milizie. Pensò quindi a far restaurare il castello, stato demolito dai republicani, per cui ben tosto si vide, (1) Ricotti.