CAPITOLO xvnr. 555 E fu appunta perche quella lega si vedeva tanto perniciosa alle stesse parli contraenti che il Governo Veneto, così scallro e diflidente coni’ era, non aveva saputo prevenirla; per cui si può dire che la conclusione di essa ha oltrepassato ogni calcolo di umana prudenza. E, a quanto pretendono gli storici, il solo azzardo avrebbe latto nascere nei Veneziani il sospetto di una trama così formidabile contro di loro. Al dire del Sandi (1) sarebbe avvenuto che un bel giorno un piemontese avrebbe dello in Milano dinanzi a Giovan Jacopo Caroldo, residente veneto in quella città (2), « avrò, dunque, la soddisfazione di veder castigato il delitto di quelli che hanno fallo perire il più illustre de’miei compatriolti », ed intendeva dire del Carmagnola. Delle quali parole,' la republica avrebbe ricevuto come T inspirazione dell’immenso pericolo che le sovrastava, per cui tulli adoperò i mezzi della più destra politica per ¡stornarlo. — La certezza, però, se l’ebbe per bocca stessa di papa Giulio, il quale, ognor più sgomentalo della prossima irruzione di tanti stranieri in Italia, avrebbe pur voluto raggiungere lo scopo di sua ambizione, senza ricorrere a mezzi tanlo pericolosi. Per il che, condottosi, un giorno, sul proprio battello l’ambasciator veneto, a fare seco una passeggiata sul mare, in tutta confidenza gli richiese se mai la republica non avesse-potuto risolversi a cedergli di buona voglia le città di Faenza e di Rimini, da lui ambite. E non polendo cavare dalla bocca del diplomatico che risposte troppo vaghe ed evasive, finalmente si risolse di palesargli il secreto (1) Istoria Civile di Venezia, lib. 9, cap. 10, art. i. (2) Vedi anche ¡1 Quadri, voi. 2, pai;. 255.