CAPITOLO VI. 147 per smania di volere saper troppo, s’ arrischiò a fare agli amici e conoscenti comuni delle domande di soverchio indiscrete, onde giunse a desiare in parecchi il sospetto che si tramasse qualche cosa di grave. E quando si traila di congiura, noi sappiamo quanto poco basti a metter sossopra anco i più maturi e ponderali disegni. Per ciò, Renault e Bedmar ne furono profondamente conturbati ed insieme decisero che fosse d’uopo toglier di mezzo quella spia, a qualunque costo; e mezzo migliore non rinvennero che col denunciarla al consiglio dei Dieci. 11 quale, arrestatolo e processatolo, in meno di veniiqualtr’ore il fé’ strangolare, senza, per altro, che da tale inquisizione potesse trarre il benché menomo sospetto della gran trama che si ordiva sotto gli stessi suoi occhi. Ma, come è ben naturale, il permaloso duca d’Ossuna s’indispettì pel modo con cui fu trattato il suo emissario, e mancò poco che non cercasse, per questo, di intromettersi a guastare i disegni dei cospiratori. Di fatto, quando il Bedmar mandò a dirgli di sollecitare l’invio delle sue truppe, egli tirò tanto in lungo che, quasi, si cominciava già a rassegnarsi a far senza di lui; circostanza che, finalmente, il decise a far sapere di esser pronto a spedire, al primo cenno, barche ed altri piccoli vascelli adatti ai canali ed ai porti di Venezia, e capaci di portare, a un bisogno, fino a sei mila uomini. C’era, fra i congiurati, certo Langlade, francese di origine, ed espertissimo nell’arte di far fuochi d’artificio. Impiegato nell’arsenale, mollo agevole riesci a costui, col sussidio de’suoi due compagni, di rilrarne una