CAPITOLO V. 127 della cillà, c scambiare le guardie della cittadella, ogni dieci giorni. In pari lempo, lo spagnuolo governatore di Milano fece con molla ostentazione varii apparecchi di guerra. Ed è rimarchevole che, mentre i principi che si dicono cattolici e cristianissimi preparavan armi, i Turchi ordinavano pubbliche preci e digiuni « per ollenere dal cielo la continuazione della discordia fra i cristiani!» La lite, per altro, non poteva protrarsi più olire; e se non ci fossero stati i gesuiti che interposero non lieve ostacolo alla più sollecita e sincera ricomposizione degli animi, è cerio che lo scandalo sarebbe stalo infinitamente minore. Ma il papa a tulio si rassegnava, fuorché all’espulsione dei reverendi dal veneto dominio; e la república era rassegnata a sopportar tutto, fuorché il ritorno degli abborrili padri. Non mancò, intanto, la diplomazia di interporre i suoi buoni oflìcii ; e, come succede pure oggidì che quando una potenza vuol immischiarsi in un affare, gelose le altre non vogliono restarne in disparte, fu allora una gara fra gli ambasciatori di Francia, Germania e Spagna onde indurre entrambi quei formidabili av-vcrsarii a fare qualche transazione. L’ onore della riescila è toccalo al cardinale de Joyeuse , ministro di Enrico IV. Dopo tanti inenarrabili sforzi, questi ottenne dal veneto senato la facoltà d’invocare dal papa, in nome proprio e non già in quello della república, la revoca delle censure, purché essa avesse luogo, non in Roma, come di consueto, ma nell’ istessa Venezia, e, per togliere occasione di sofisticheria, non per iscritto, ma a voce.